Il campo da gioco
28 Settembre 2014I ritagli di settembre
2 Ottobre 2014Ogni tanto mi capita di leggere qualcuno che mi spiega come le evoluzioni della scrittura e dei supporti per la scrittura abbiano sempre determinato, per forza di cose, cambiamenti irreversibili anche nei modi che abbiamo di leggere e di scrivere e quindi, in ultima analisi, nei modi che abbiamo di fare cultura. E ogni volta che mi capita di leggere questo tipo di ragionamenti, penso che siano ragionamenti giusti, e corretti, e meno male che qualcuno li fa, e penso che lo so che non bisogna pensare in modo diverso, perché altrimenti saremmo ancora all’età della pietra, e chissà come si stava male all’età della pietra e come tutti erano inevitabilmente tristi e infelici all’età della pietra.
E penso che è inutile essere dei nostalgici.
L’ho pensato anche oggi, leggendo questo articolo di Roberto Cotroneo, che a un certo punto, parlando di Salimbene da Parma e della sua prodigiosa memoria, dice così:
Pochi secoli dopo, l’invenzione della stampa permise la diffusione del libro, e con il libro la possibilità di tenere con sé i testi, e consultarli al bisogno, ma affievolì l’esercizio della memoria. E qualcuno avrebbe potuto protestare. Non sapere più i testi a memoria, andare a consultarli per rinfrescarli era una perdita. La mente crea connessioni se sappiamo le cose. Se non le impariamo è più difficile. Il tempo di lettura si accorcia, si riempie di distrazioni. Si può leggere un libro persino in viaggio, spostandosi in carrozza, senza restare rigidi e seduti in uno scriptorium che non consente distrazioni. Si può interrompere la lettura per il chiasso attorno, e interessarsi a quello che accade, per poi tornare alla lettura.
E poi l’ho ripensato anche quando Cotroneo continua e scrive così:
Il libro aveva cambiato la lettura, e il nuovo modo di leggere aveva cambiato il libro. Fu la fine di un mondo. Ma quella fine di un mondo venne annunciata dal Rinascimento, e portò alla modernità, alla nascita della letteratura moderna, della scienza, dei lumi e della filosofia. Portò all’arte del commento e della critica e al procedere della civiltà.
E anche alla fine l’ho di nuovo pensato (che non bisogna mai , in nessun modo e per nessuna ragione, essere nostalgici; e che invece bisogna guardare al futuro con cosciente e solare ottimismo) quando Cotroneo ha concluso così:
Distrarsi è un valore, un modo di intuire, un modo di leggere. A meno di non voler fare come Salimbene e voler tornare al medioevo.
E nessuno di noi vuole tornare al Medioevo, no? Chissà come si stava male e come tutti erano inevitabilmente tristi e infelici nel Medioevo, ho pensato. E quindi mi sono detto che non devo essere in nessun modo nostalgico, perché è sbagliato; e mentre lo dicevo, chissà come mai, sentivo una dolcissima sensazione che mi invadeva e mi allagava di una strana gioia e quasi quasi non riuscivo nemmeno a darle un nome. Finché non mi è venuto in mente che il nome di quella dolcissima e bellissima sensazione era «nostalgia» e, non so perché, mi sono sentito improvvisamente stupido e ingenuo, e molto contento.