in venturi giorni vacanti
15 Dicembre 2019immaginare le soluzioni (tutto è come qualcos’altro)
22 Dicembre 2019Pensavo di essere l’unico, sinceramente. Pensavo di essere un caso un po’ particolare, un po’ strano, mi dicevo che era un piccolo bug del mio cervello di lettore di libri, questa antipatia, questa insofferenza. Pensavo insomma di essere l’unico a non sopportare i sogni raccontati dentro ai romanzi: a trovarli superflui, inutili, a saltarli quasi sempre a piè pari, senza rimpianti, sbuffando, chiedendomi perché uno scrittore dovesse davvero raccontare un sogno a quel punto della storia…
E invece ho scoperto di no. Che siamo almeno in due, io e Giulia. E cioè la lettrice (immaginaria, penso; sognata da qualcuno, immagino) che ha scritto di questa sua antipatia al bibliopatologo di Internazionale confessando anche lei (soltanto lei: io non avrei mai avuto il coraggio di confessare questa cosa terribile, non l’ho mai fatto prima di ora, infatti) di non poter sopportare i sogni raccontati dentro i romanzi. E non so se anche a lei, come a me, la risposta del bibliopatologo (pure ragionevolissima) è parsa insufficiente: se dunque anche lei, come farò io, continuerà a saltare tutte le pagine che in un romanzo raccontano un sogno, a considerarle carta sprecata, non c’è niente da fare, non sapendo nemmeno perché… La risposta dice così (la trovate qui, tutta intera):
Se la vita è un sogno, leggiamo nell’Isola dei morti di Strindberg, il teatro è allora il sogno di un sogno. Allo stesso modo lo è la letteratura. Ma agli scrittori non chiediamo di raccontarci i sogni in modo che sembrino sogni, sospingendoci ancora più in là nei cieli grigi dell’astrazione; piuttosto, pretendiamo che ce li raccontino in modo che sembrino veri, ossia come quell’amico non ha saputo fare. Non sarà un caso se i soli sogni appassionanti che incontriamo nei romanzi sono quelli che non fanno nulla per somigliare ai miseri detriti onirici che ramazziamo al risveglio, ma suonano piuttosto come romanzi nel romanzo; quei sogni, cioè, dove l’artificio letterario – il somnium fictum – moltiplica l’intensità anziché attenuarla.
Pensavo di essere l’unico (pensiamo sempre di essere gli unici) e invece condivido questa antipatia con altri, lettori come me. Forse capiamo male la letteratura, non lo so. Forse è proprio la realtà che ci sfugge, tutta intera, compresi i sogni. E c’è un libro che mi piace citare oggi, un libro di poche pagine, che si legge in un’ora, e che è a suo modo un libro natalizio, se mi permettete. Lo trovate raccontato qui (ma il racconto non vale la lettura). Ci dice che non capiamo i sogni perché non capiamo neppure la realtà, neppure la storia che ci passa accanto. Che non la capì nemmeno Ponzio Pilato, probabilmente, quando se ne lavò le mani. E che i sogni che abitiamo sono già troppi così, figuriamoci nei romanzi.