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non lo so

Non mi ricordo quando, e nemmeno chi, qualche tempo fa, nei commenti a non so più quale articolo di questo mezzo blog ospitato dentro un sito di ricerche cardiologiche, mi ha riportato una frase di Italo Calvino, a proposito della poesia e dello scrivere poesia. Una frase lunga che però iniziava così: «La poesia è sempre stata questo: far passare il mare in un imbuto».

 

Ecco, ho pensato a questa frase di Italo Calvino per tutto il tempo che è durata la mia lettura di un’intervista al poeta Franco Arminio, stamattina. E per tutto il tempo mi è sembrato che quest’intervista sulla poesia dicesse cose molto belle e molto utili, cose importanti su una cosa inutile come la poesia, cose vitali sullo scrivere e sul leggere versi, cose che rimettevano anche il mio sguardo su una linea prospettica leggermente diversa da quella consueta. E ho pensato che avrei senz’altro citato questo passaggio, stamattina, in cui Arminio risponde alla domanda su cosa occorra per diventare un poeta:

 

Penso che siano ingredienti strettamente personali. Non credo si possa programmare un poeta. Il disagio e il lavoro assiduo sono due condizioni importanti. Ma non vanno mai considerati come un binario unico. Il disagio deve anche contenere una certa contentezza di fondo. E il lavoro assiduo non deve escludere una sorta di leggerezza… un rimanere in qualche modo immuni dal lavorio, estranei alle fatiche che stiamo svolgendo.

 

Oppure, mi sono detto, c’è anche questo accenno che non può essere sottovalutato, perché implica una serie di conseguenze a cui voglio assolutamente pensare nei prossimi mesi… Ed è questo passaggio:

 

Forse bisogna portare la poesia in ambiti dove di solito non la porta nessuno. Bisogna leggere poesie al benzinaio che ci mette la benzina, al barista che ci fa il caffè.

 

(portare la poesia in luoghi nuovi, a gente nuova, non avere paura di farlo… quanto mi piace questa idea che sembra una freccia lanciata in avanti, senza nemmeno sapere dove…)

 

Ma più di tutto, più di ogni altro accenno e considerazione, più di ogni «disagio» e «lavorìo» (che belle definizioni di poesia, eh?…), più di ogni benzinaio e di ogni barista, più di tutto questo mi è piaciuto il fatto che le risposte di Arminio iniziano più o meno tutte con la stessa, identica, medesima riflessione:

 

Non lo so.

 

Franco Arminio non lo sa. E non in senso socratico, per quello che a me pare. Franco Arminio proprio non sa, non sa davvero, Franco Arminio dice che «ovviamente» non lo sa. E a me questo è piaciuto moltissimo; mi è sembrato il senso stesso dello scrivere e del leggere poesia, confessare a se stessi di non sapere, di non sapere nemmeno di non sapere, e quindi di leggere poesia.

 

E ho rinunciato a tutto il resto, stamattina: a una bella e necessaria riflessione di Niccolò Scafffai sulla «zona grigia» di Primo Levi, che pure avevo già scelto e messo da parte, e che si trova qui; così come a un nuovo tentativo di traduzione di una bellissima poesia di Rilke, che si legge qui; e anche a un più leggero articolo che riguarda Il nome della rosa e un paio di errori commessi da Umberto Eco mentre lo scriveva, che sono spiegati qui (e uno riguarda un piatto di peperoni); così come a un bell’articolo su un’altra delle mie passioni, che è Corrado Stajano, di cui un bravo editore ha appena ripubblicato il bellissimo Il sovversivo, che è presentato qui.

 

E ho rinunciato a tutto questo (e ho promesso a me stesso che su alcuni di quegli articoli dovrò per forza, nei prossimi giorni, ritornare) per provare a dire anch’io che non lo so, la cosa più importante; e mi sono chiesto come sia possibile che voi cardiologi mi concediate ancora, dopo anni, questo mezzo blog entro le vostre pagine di ricerca cardiologica, per lasciarmi dire sempre e solo la stessa identica medesima cosa, che non lo so, che a volte faccio finta ma comunque non lo so, e non ho saputo darmi una risposta, forse anche voi non lo sapete, forse sperate invano che lo sappia io. e invece, ecco il punto, non lo so, nemmeno io, io credo (e segretamente spero) che non lo sappia nessuno.

Davide Profumo
Davide Profumo
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