polle d’emozione
26 Novembre 2020case d’infanzia
3 Dicembre 2020Forse la domanda andrebbe declinata così: «Cos’è che non stai leggendo in questi giorni?»
Forse, declinata così, la domanda avrebbe un senso più acuto e imprevedibile di quello che ha nella sua forma normale (che è ovviamente questa: «Cosa stai leggendo, di bello, in questi giorni?»). Perché servirebbe a definire un confine, una linea che congiunge tutti i libri appoggiati nei vari angoli di casa mia, il tavolino piccolo all’ingresso, il comodino, il tavolino grande in salotto, la scrivania, uno scaffale appena a destra della mia sedia, in cui si fermano i libri che devo leggere, che mi riprometto di leggere, che è necessario leggere, che non leggo mai del tutto (e non sto parlando degli estratti kindle che stanno muti, in qualche angolo nascosto della memoria del mio telefono, non ci voglio nemmeno pensare, a quelli lì…). E quella linea sarebbe semplicemente il contorno del mio mondo finito.
Ecco dunque, sono questi i libri che non sto leggendo in questi giorni. E sono anche libri importanti, sono i classici, sono i libri che so di dover leggere, prima o poi, che ho cominciato a leggere, tante volte, che non ho mai finito di leggere, le Metamorfosi di Ovidio, per esempio, oppure Balzac, oppure L’uomo senza qualità, certe cose imperdibili russe, che mi sto perdendo, o più semplicemente, senza arrivare ai classici, l’ultimo libro di Scurati, Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer (iniziato decine di volte), i romanzi di Olga Tokarczuk, certi mattoni di Amos Oz o quella scrittrice francese che in tanti mi hanno, da tempo, consigliato… Che però stanno lì, fermi, e mi guardano, mentre io non li leggo, ostinato, cieco, inutile. E ha forse ragione Guido Vitiello, che lo scrive su Internazionale in questi giorni (lo trovate qui): stanno lì, come il monolite di Kubrick, immobili. Ma proprio come quel parallelepipedo incomprensibile, agiscono da fermi e da fermi cambiano le mie stanze, gli spigoli del mio mondo, il mio sguardo su quegli spigoli, il mondo che circonda il mio sguardo su di loro e su me stesso.
Forse sono questo i classici: sono libri che sappiamo di dover leggere anche se non li leggiamo, sono libri che agiscono anche se non riusciamo a leggerli del tutto, ma solo a pezzi, ma solo sempre le stesse pagine iniziali. Ci sono anche gli altri, quelli che finiamo, e sono bellissimi. Ma non basterebbero, da soli: quelli che non stiamo leggendo sono altrettanto importanti, perché:
Il non finirli – ma desiderare di averli finiti – ha una funzione preziosa, quella di fissare il nostro orizzonte mentale sulla linea che separa due infiniti.
E però, naturalmente, c’è anche un libro che sto davvero leggendo in questi giorni e che mi ha fatto pensare (anche lui, come l’articolo di Vitiello) ai classici che ho letto e che ho amato, così come a quelli che non ho mai letto ma, chissà come, ho sempre amato lo stesso. Il libro è una specie di racconto, facile e lieve, scritto con grazia e leggerezza da Roberto Carnero, un percorso nella storia letteraria che insegniamo a scuola spesso perdendo di vista il motivo per cui lo facciamo. Si intitola appunto: Il bel viaggio. Lo trovate presentato qui, con queste parole, con quest’altra immortale domanda:
A cosa servono i libri? Cosa rende un classico tale? Perché a scuola, nelle ore di lettere, si propongono poesie, racconti e brani di romanzi? Kafka l’aveva scritto, in una delle sue lettere, che “un libro dev’essere la scure per il mare gelato dentro di noi”. Un libro deve scuoterci, deve aprirci varchi per interrogativi nuovi, predisporci a uno sguardo inedito sul mondo, stimolare la nostra curiosità, l’immaginazione e il senso estetico: in poche parole, la lettura è un tramite verso la complessità ma anche verso la Bellezza, quella con la B maiuscola.
Risponderei pertanto così (e mi pare che lo faccia anche Carnero, nelle sue pagine): i libri servono a tracciare il confine del nostro sguardo, l’ultimo orizzonte alla nostra immaginazione… Quelli che abbiamo letto come quelli che non abbiamo letto, quelli che non leggeremo mai, che rimarranno a guardarci in silenzio dagli angoli delle nostre stanze mentre noi usciamo verso il mondo a raccontare agli altri dei libri che stiamo leggendo.