Dislipidemie dallo screening al trattamento: i risultati del registro NHANES
17 Aprile 2018su un gommone, attaccati a un corrimano
18 Aprile 2018A cura di Domenico Pecora
Tze-Fan Chao, Chia-Jen Liu, Yenn-Jiang Lin, Shih-Lin Chang, Li-Wei Lo, Yu-Feng Hu, Ta-Chuan Tuan, Jo-Nan Liao, Fa-Po Chung, Tzeng-Ji Chen, Gregory Y. H. Lip, Shih-Ann Chen. Oral Anticoagulation in Very Elderly Patients with Atrial Fibrillation – A Nationwide Cohort Study. Circulation 2018.
I grandi anziani (> 85 anni di età) sono sottorappresentati nei maggiori trial di prevenzione primaria dello stroke ischemico mediante l’utilizzo della terapia anticoagulante orale (TAO) nella fibrillazione atriale (FA). Essi rappresentano attualmente un gruppo di pazienti non trascurabile (3,5% della popolazione italiana, secondo il censimento del 2016),1 nei quali l’incidenza dell’aritmia arriva fino al 15% e le conseguenze dello stroke sono peggiori in termini di mortalità e soprattutto di disabilità residua, con il conseguente impatto sociale.
Gli autori hanno analizzato il rischio di stroke ischemico e di emorragia intracranica (ICH) e il beneficio clinico netto della TAO nei pazienti > 90 anni di età, utilizzando il database sanitario assicurativo nazionale dell’isola di Taiwan.
Sono stati analizzati 15.756 pazienti con FA negli anni dal 1996 al 2011. La prima analisi ha riguardato il rischio di stroke ischemico e di ICH negli 11.064 pazienti con FA ma senza TAO confrontati con i 14.658 senza FA. Per la seconda analisi, i 15.756 pazienti con FA sono stati suddivisi in 3 gruppi (nessun trattamento, antiaggreganti, warfarin) ed è stato analizzato il rischio di stroke e di ICH. Infine, il rischio di stroke e di ICH è stato ulteriormente analizzato confrontando i pazienti in warfarin (768) e i pazienti in NOACs (978) negli anni dal 2012 al 2015.
Rispetto ai pazienti senza FA, i pazienti con FA presentano un aumentato rischio di ictus ischemico (incidenza = 742/11.064, 5,75%/anno contro 1,399/14,658, 3,00%/anno; hazard ratio [HR] 1,93, intervallo di confidenza al 95% [CI] 1,74-2,14) e un rischio simile di ICH (131/ 11.064, 0,97%/anno contro 206/14.658, 0,54%/ anno, HR 0,85, IC 95% 0,66-1,09), considerato il rischio concorrente di mortalità. Tra i pazienti con FA, l’uso di warfarin è stato associato a un rischio di ictus inferiore (39/617, 3,83%/anno contro 742/11.064, 5,75% / anno, HR 0,69, IC 95% 0,49-0,96), senza differenze nel rischio di ICH rispetto al non trattamento.
Il warfarin era associato, quando comparato al non trattamento o alla terapia antiaggregante, a un beneficio clinico netto e tali risultati persistevano nella propensity matched analysis. I NOACs erano associati, quando comparati al warfarin, a un minor rischio di ICH (4/978; 0,42%/anno contro 19/768; 1,63%/anno: HR 0,32, 95% CI 0,10-0,97).
In conclusione, anche nei grandi anziani con età > 90 anni la FA è associata a un maggior rischio di stroke ischemico rispetto all’assenza di FA. In questo gruppo di pazienti, il warfarin era associato a un minor rischio di stroke, senza alcuna differenza nel rischio di ICH, rispetto a quelli non trattati con warfarin. I NOACs erano associati a un minor rischio di ICH rispetto al warfarin, senza differenze nel rischio di stroke ischemico o di altre emorragie maggiori. Bisogna notare comunque che in questa popolazione solo il 3,9% (671/15.756) era trattato con warfarin mentre il 25,9% (4075/15.756) assumeva antiaggreganti (per la coorte con i NOACs non è stato fornito il numero totale dei pazienti con FA). Questo a ribadire che non è mai troppo tardi per anticoagulare i pazienti con FA, indipendentemente dalla sopravvivenza residua, ma la terapia è offerta a una popolazione ancora troppo esigua.
- http://www.istat.it/it/files/2018/02/IndicatoriDemografici2018.pdf