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niente paura

Mi permetto stamattina una piccola dedica collettiva (uso privato di uno spazio pubblico si chiama, mi sa…): agli studenti di un paio di classi quinte che nei prossimi giorni si troveranno a sostenere la prova orale del loro esame di stato (la cosiddetta «maturità», naturalmente, che però da tanti anni non si chiama più così). Ho pensato a loro leggendo questo post di Annamaria Testa sul tema del parlare in pubblico. E li ho pensati perché per anni io ho parlato davanti a loro (non sempre con l’efficacia che avrei desiderato, ovviamente) e poi, soprattutto, perché tra qualche giorno toccherà a loro presentare davanti a un pubblico (gli insegnanti, qualche amico…) la loro ricerca finale, quella che chiamiamo «tesina» (siamo pieni di parole inutili e sbagliate, nella scuola) e che sarà una specie di carta di identità che si saranno scelti per la loro ultima interrogazione liceale (ma forse il primo esame tra quelli che li aspettano e che, savassandìr, non finiscono mai).

Eccomi, arrivo al dunque. Annamaria Testa ha lasciato alcuni suggerimenti, validi per me e validi per voi. Li trovate tutti in questo post. Ma se dovessi sceglierne uno apposta per voi (non abbiate paura, mi raccomando, è l’unica cosa che non vi servirà), sceglierei senz’altro questo:

 

È il tempo che avete a disposizione a decidere quanto approfonditamente potete argomentare le vostre affermazioni e quanto potete essere dettagliati. In ogni caso, e anche se avete tempo: evitate di divagare e state sul pezzo. Specie se avete poco tempo a disposizione, fate la scelta di dire pochissime cose, molto chiare. Meglio una singolo forte argomentazione, conclusa e ribadita, che tre argomentazioni affastellate, lacunose e incomprensibili. Meno tempo avete a disposizione, più tempo vi toccherà dedicare a scegliere bene quell che andrete a dire, e a dargli forma. Non sforate sui tempi e, se il vostro tempo è finito, non mettetevi a parlare a velocità supersonica per riuscire a dire “tutto”: le persone non ricorderanno niente, se non la vostra inadeguatezza. […]

Ricordate che il vostro primo obiettivo è dire qualcosa che le persone siano interessante a sentire, felici di aver ascoltato, ansiose di ricordarsi.

 

In bocca al lupo agli studenti che parleranno, insomma.

 

[Ma se invece aveste bisogno di qualcosa di meno «privato», ecco, ho letto un pezzo sul riduzionismo scientifico dei nostri anni e sui rischi culturali che esso comporta che mi è molto piaciuto. Lo consiglierei a tutti, se non altro come spunto per l’inizio di una riflessione. Nel post si dice per esempio questo:

 

È innegabile che la scienza occupi un posto dominante nella nostra vita, soprattutto nel rapporto uomo-natura che ha contribuito a creare con la tecnologia. Tale rapporto si profila come uno dei temi più importanti (se non il più importante) del secolo che stiamo vivendo. Una maggiore consapevolezza del ruolo dell’indeterminatezza in questo rapporto ci farebbe sicuramente vedere tutto in una nuova luce: quella di sistemi complessi visti non più nella maniera riduzionistica del “complicato” e quindi non interessante, ma nel loro significato originale della parola: cum-plexus, intrecciato assieme.

 

E non mi pare che sia poco, anzi.]

Davide Profumo
Davide Profumo
La mia pagina Facebook: https://it-it.facebook.com/davide.loscorfano

2 Comments

  1. .mau. ha detto:

    Non sono d’accordo sul secondo articolo (Annamaria Testa ha scritto cose di buon senso e le ha scritte bene, come del resto fa sempre).

    Ho letto (con grande fatica, perché è scritto davvero male) il secondo articolo. Bertoli ha mischiato cose di ogni tipo, che portano da ogni parte tranne che verso la sua tesi – che se non ho capito male è “occorre un approccio olistico alla scienza”, oppure “non si può avere solo un approccio riduzionistico alla scienza”. Lasciando perdere errori fattuali tipo far partire la teoria del caos con la farfalla lorenziana – il primo esempio è stato di mezzo secolo prima, con Poincarè e il problema dei tre corpi – il punto è che quello che non puoi avere è un approccio riduzionistico alla conoscenza. La scienza, da Galileo in poi, funziona perché è riduzionista.

    D’altra parte il fondamentalismo religioso che è il punto di partenza dell’articolo non ha nulla a che fare con riduzionismo od olismo, ma è semplicemente il risultato di un sistema di assiomi scelto ad hoc, esattamente come lo è la xenofobia o il tifo calcistico 🙂 Insomma, il testo per me è senza capo né coda…

  2. Giulio Bertoli ha detto:

    Salve,
    mi dispiace se non sono stato chiaro e che l’articolo le risulti scritto male.
    Essendo però convinto che il tema da me affrontato sia quantomeno degno di essere considerato, mi sentirei in colpa se la mia inettitudine causasse in lei una perdita d’interesse.
    La rimando quindi ad un testo specialistico più approfondito al quale mi sono ispirato:
    “La sfida della complessità” a cura di Bocchi e Ceruti.
    In particolare i primi due testi, di Ceruti e Morin.
    Cordialmente,
    Giulio Bertoli

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