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nessuna parola

Se mi chiedessero un solo libro per questa mattina di maggio, io avrei la risposta. E la risposta sarebbe il libro di poesie di Fernando Bandini, la sua opera completa in versi, che è da pochi giorni uscita in libreria e da pochissimi giorni entrata in casa mia. E si trovano, anche in rete, molte parole su queste poesie un po’ dimenticate, un po’ datate, un po’ lontane dalla mattina di maggio del 2018 che oggi si annuncia, invece, così luminosa (almeno qui, in questo angolo di mondo da cui scrivo). Ma tra tutte le possibili parole vale probabilmente la pena di citare quelle di Carlo Ossola, al solito raffinate e coltissime. Il quale, in poche righe, cita i punti di riferimento più importanti del Bandini poeta, li connette al contemporaneo, ci indica in quale scaffale porre le sue poesie per ritrovarle quando ne avremo bisogno (vicino a quelle di Zanzotto, senz’altro; ma non troppo distanti da Pasolini, però):

 

Come ha sottolineato Gian Luigi Beccaria, non va sottaciuta la dolente coscienza che «da La mantide e la città (1979) in poi Bandini ha mostrato per la fine improvvisa in Italia del mondo rurale, la violenza che ha operato su di esso la civiltà industriale […]: al poeta non rimane che porre, a futura memoria, “lapidi / dove una volta erano voli e gridi”». Ma, a differenza di Pasolini e di Zanzotto, che quel mondo egualmente han visto svanire, Bandini ha il dono di preservare, come uno spigolatore della minima memoria, il profumo di un nome…

 

Oppure vale la pena di arrivare fin qui e di leggere questa parole, scritte dallo stesso Bandini, che aiutano non poco a capire i versi e l’arte poetica di cui stiamo parlando:

 

«Considero i poeti in dialetto poeti di lingua morta, alla stessa stregua di chi componga versi in latino. La differenza è soltanto nel più sottile diaframma che ci separa dal mondo di sentimenti e di cose una volta espresso dal dialetto. Quel mondo dorme nel fondo della nostra coscienza; rivisitarlo significa trovarci coinvolti in qualcosa che avevamo dimenticato ma che pure ci era appartenuto.»

 

Ma più di ogni altra cosa, consiglio di aprire il libro e di leggerlo, come si leggono sempre i libri di poesie, sfogliandoli, senza criterio, passando da pagina 78 a pagina 23, smarrendosi e ritrovandosi sempre, come in una città sempre uguale e sempre diversa, come in un labirinto di strade che non sembra condurre in alcun possibile luogo… per arrivare, per esempio, qui:

 

Così abbagliante ormai
la distesa di neve che la retina non ce la fa.
Tutto è silenzio dopo la schianto dei rami,
nessuna parola aveva colto nel segno.

Davide Profumo
Davide Profumo
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