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nei nostri umani panni

Potete scegliere di restare in tutto e per tutto nei vostri panni, almeno oggi. Dicono che sia la scelta più facile e più comoda, dicono che sia la scelta che ci mette meno in discussione il nostro modo di stare al mondo, i nostri abiti, le nostre abitudini. E visto che i vostri panni sono per lo più panni di medici, potete voi restare nei vostri panni di medici (che sono càmici, beati voi, vi ho sempre un po’ invidiato, nelle vostre divise lungo corridoi di ospedale che si aprono al passaggio…), io in quelli altrettanto comodi di «consigliatore di libri». Se decidete di restare, almeno per oggi, dentro i vostri panni, ho la recensione che fa per voi e il libro che fa per tutti («Per tutti la morte ha uno sguardo»).

 

Sostiene con non poche ragioni, questa recensione, che abbiamo espunto la morte dalle nostre vite e che questa espunzione (o assenza) non ci sta facendo bene, a nessuno di noi, nei nostri panni. E sostiene che sta cambiando pure il ruolo di voi medici a causa di questa assenza, che probabilmente ve ne state accorgendo e chissà quanto siete d’accordo (a ricoprire questo nuovo ruolo). Potete leggere qui, per esempio (e poi leggervi anche tutto il libro, se l’argomento vi sembrasse, come a me, meritevole di interesse):

 

Sono loro [cioè voi, i medici] i moderni ma glaciali traghettatori di anime. Sono loro che spesso decidono di tenere all’oscuro il paziente non rivelandogli la sua condizione. Sono loro che ritardano il momento di avvertire la famiglia. Non si comunica più niente per paura di far perdere il controllo emotivo sia al malato sia alla famiglia. Negli ospedali non sono ben accette scene drammatiche, è sempre meglio far finta di niente, per il bene di tutti, per evitare grida, pianti, lacrime ed esaltazioni. Morire è diventato imbarazzante. “Una volta la morte era un volto familiare, e i moralisti dovevano renderlo orribile per fare paura. Oggi basta soltanto nominarla per suscitare una tensione emotiva incompatibile con la regolarità della vita quotidiana”. E il malato, se dovesse capire che la sua ora è giunta, non può comunque accettarla, non può arrendersi, non può chiudere gli occhi e lasciarsi andare voltandosi verso il muro, no, deve continuare a fingere, a lottare anche se non vuole, altrimenti rischia di sembrare folle agli occhi degli infermieri, colpevole di rinunciare alla vita, vergogna inaccettabile…

 

Mi pare molto interessante. Ma può darsi che non ne possiate più di parlare di corpi e di valvole mitraliche e di organi e di ghiandole. E che desideriate, almeno per dieci minuti al giorno, uscire dai vostri panni, abbandonare il càmice in un angolo del vostro studio e pensare ad altro, a un libro che parli d’altro, a un romanzo giallo, a una riflessione meno terribile sul nostro modo di stare al mondo. Oppure, per una volta, non più al corpo ma all’anima.

 

Ed ecco a voi l’anima, quindi. Che magari non è in gran forma ma è pur sempre qui, presente all’appello. Ne ho letto un «breve elogio» qui, e l’ho molto apprezzato. Ho pensato che anche l’anima, come la morte, è stata espunta dai nostri discorsi, molto tempo fa. E ho pensato che questa forse non è una coincidenza, che non esistono coincidenze, che la morte e l’anima sono parenti così strette che non si può cacciare l’una senza che se ne vada anche l’altra.

 

E pure in questi discorsi, pure parlando di anima, si parla di voi medici. Come a dire che siete voi i più vicini a entrambe le cose, che forse la vostra fatica è questa, più di ogni altra. E vi si propongono un paio di libri, che magari potrete leggere, quando vi sarete stancati di leggere i corpi e i sintomi dei vostri pazienti. E questo piccolo passaggio forse vi darà la forza di faro subito, appena usciti dal vostro lavoro di oggi:

 

l’essere umano è una realtà biologica, psichica e spirituale insieme, ognuna delle quali prova gioie e dolori propri. Anche l’anima soffre, e quando il suo dolore, la cui natura è spirituale, non è compreso e curato, può estendersi anche alla psiche o al corpo, più facilmente a entrambi. Perciò, allo stesso modo in cui curiamo il corpo e la mente, dobbiamo aver cura della nostra anima. La si può tormentare, trascurare e mortificare fino quasi ad annullare la vita spirituale, ma non la si può distruggere del tutto. Essa è una forza vitale che può rendere immenso anche un uomo umiliato e in catene.

 

Ma non lo so. Può darsi che invece, càmice o non càmice, anche voi abbiate soltanto voglia di perdervi un po’, di usare i libri come fuoripista, deviazioni, luoghi eccentrici, labirinti; che è quello che succede spesso a me. In tal caso, se è questo che volete, ho il sito che farà definitivamente per voi. Lo ha segnalato Maurizio Codogno (a cui saremo grati) e replica sul web la biblioteca di Babele che fu di un racconto di Borges («un’enorme biblioteca dove sono contenuti tutti i libri possibili, o per essere più specifici tutti i possibili libri di 410 pagine di 40 righe da 80 caratteri con un alfabeto di 22 lettere più spazio, virgola e punto»): la trovate qui. Non c’è niente di più utile e di più inutile, a mio parere. Non c’è forse niente che assomigli di più alla letteratura. Se ci trovate, un giorno, una riga che abbia un senso, mi raccomando, non dimenticate di venire a riferirmelo: la sto cercando anch’io, da più di trent’anni.

Davide Profumo
Davide Profumo
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