voci delle mie sirene
27 Giugno 2021il cibo che leggiamo
4 Luglio 2021Siamo nel 2786, le calotte polari si sono sciolte, il livello dei mari si è innalzato e ha sommerso migliaia di chilometri di coste italiane. Milordo, in quello che viene definito un viaggio “semiserio”, percorre la nuova geografia costiera e insulare del Bel Paese, in bilico tra fantascienza e viaggio picaresco, evocando esplicitamente Goethe mille anni dopo ma innescando anche un’operazione culturale simile a quella di Antonio Stoppani. Perché il libro è corredato infatti dalle mappe fisiche di Francesco Ferrarese che, con uno stile grafico e cromatico che riporta subito alle vecchie cartine geografiche appese nelle aule scolastiche di un tempo, attiva il gioco del riconoscimento e dell’autonarrazione. Prendendo il libro in mano, il lettore andrà subito istintivamente a cercare la propria città: che ne sarà di Modena, di Napoli, di Milano tra settecento anni? Saranno sparite tra le acque? E Palermo? A Catania saremo sommersi e a Lodi salvati e andremo al mare? Ce la faremo dopo il diluvio o è solo l’incipit di un racconto ballardiano? Ma quello che sembra un facile gioco di agnizione diventa subito qualcosa di più.
Un viaggio immaginario, insomma: il cuore stesso della letteratura di ogni tempo (tutta la recensione la trovate qui).
Un viaggio in un futuro non impossibile in cui nulla di quello che oggi sappiamo dell’Italia è più vero, i mari non sono più al loro posto, le spiagge non sono più spiagge, le montagne hanno perduto il loro carattere, le città sono scomparse o diventate altro da sé, completamente.
È uno dei libri più interessanti e speciali del 2021, questo Viaggio nell’Italia dell’Antropocene di Telmo Pievani e Mauro Varotto (e le mappe sono bellssime, se come me siete appassionati del genere); una specie di manuale di una futura geografia immaginaria che tiene insieme letteratura distopica e di viaggio, immaginazione ecologica, catastrofismo, cartografia, dati scientifici e pure una certa leggerezza. Ma è anche un monito, come si dice perfettamente qui, che è difficile non voler ascoltare:
La fantasia, potenziata da immagini già presenti nella memoria collettiva, diventa un mezzo d’azione. E a ogni tappa del viaggio, il libro presenta una raccolta di fatti che fa da controcanto alla fiction. Cifre enormi, destabilizzanti, ma che riusciamo a interiorizzare e maneggiare più facilmente proprio grazie al filtro della finzione, al patto narrativo di trovarci davvero nel 2786. Si parla di migranti climatici, dei ghiacci che si sciolgono e dei mari che salgono, di dissesti geologici e idrografici, di desertificazione, di perdita di biodiversità, di sovraffollamento, di problemi sociali e convivenza fra uomini e animali: tutti fenomeni già presenti ed evidenti, che talvolta scegliamo di ignorare ma che, superata una certa soglia, esploderanno fino a diventare ingestibili… Non serve immaginare grigi futuri distopici, perché nella catastrofe la vita di tutti i giorni deve pur continuare e spesso lo fa in modo più banale di quello che pensiamo; ma non dobbiamo nemmeno indulgere nell’attesa di soluzioni magiche, perché un altro punto chiarissimo è che il danno è già stato fatto, il pianeta è già profondamente ferito, e si tratta di restare in equilibrio mentre il mondo trema.
E mi piace pensare che per raccontare questo viaggio goethiano mille anni dopo il viaggio in Italia di Goethe, uno scienziato e un geografo abbiano scelto la forma letteraria dell’immaginazione. Il mondo che dobbiamo salvare da noi stessi ha bisogno di tutti noi stessi per essere salvato, e forse in particolare ha bisogno di quella parte di noi che sa prendere i numeri e i fatti della climatologia e trasformarli nel racconto di quello che saremo quando non saremo più lì, con i nostri occhi, a guardarci mentre camminiamo nel mondo.
Siamo noi stessi, rappresentanti della specie Homo sapiens, il racconto del mondo che cambia e che cambiamo con la nostra invadente presenza; non sappiamo smettere di immaginarlo, non possiamo ancora smettere di disegnarlo. Non basta ancora, ma mi pare già una bella notizia per il futuro dell’Antropocene.