Se avrete un po’ di pazienza e se pensate che la letteratura e la critica della letteratura possano ancora rappresentare un sincero tentativo di comprensione del mondo e dell’esistenza, forse ho quello che fa per voi. Ma temo che di pazienza ve ne possa servire molta, di più di quello che sospettate.
Perché il mio consiglio di lettura di oggi riguarda sì il rapporto tra i classici letterari e il presente, ma dice il contrario di quello che di solito siamo abituati a sentirci dire (quasi il contrario, diciamo). E lo dice in una misura che non è quella di un semplice post sul web ma quella, più impegnativa, del mini-saggio letterario di una decina di pagine. Ma è molto bello; e vale la pazienza che vi sto chiedendo. Lo ha scritto Pietro Li Causi e dice che durante la pandemia abbiamo, tutti e molto spesso, usato i classici per raccontarci le pesti che hanno attraversato la storia dell’umanità e della letteratura e che forse non sempre abbiamo fato bene. E che quest’uso un po’ semplicistico rischia di non fare bene né alla comprensione dei classici né ovviamente alla nostra comprensione della pandemia e della nostra vita durante la pandemia. Insomma, abbiamo fatto male; o forse, più cautamente, potevamo fare meglio, anche in letteratura.
Pietro Li Causi lo dice bene così, in apertura di saggio:
I classici, quelle opere che sono sopravvissute nei secoli giungendo fino a noi, quegli intrecci di senso che hanno permesso la sedimentazione di strati su strati di interpretazioni, di commenti, di ri-usi, tendono a non essere più letti come oggetti complessi e distanti; non sono più un enigmatico e affascinante ‘altro-da-noi’, ma diventano una miniera per citazioni semi-colte e variamente decontestualizzate; si trasformano, finanche, in ‘personaggi’ di cui celebrare i ‘compleanni’ e le ricorrenze (i duecento anni dalla prima edizione di, i 150 della morte dell’autore di etc.). In uno scenario del genere, va eclissandosi sempre di più la capacità di leggere un testo in profondità, e si afferma, per converso, nelle manifestazioni pubbliche, nelle pagine web, sui quotidiani, sulle pagine dei manuali di storia della letteratura, nei teatri, quello che potremmo chiamare il ‘paradigma dell’occasione’. Vogliamo parlare della violenza sulle donne? Perché non usare, per l’occasione, Boccaccio? Vogliamo parlare di migranti? Sicuramente nell’Antigone di Sofocle troveremo la soluzione definitiva per risolvere i nostri problemi e costruire una società più accogliente e giusta. E allora ecco che la facciamo leggere ai nostri studenti, e magari gliela facciamo anche mettere in scena, forse senza neanche fare loro comprendere fino in fondo il senso delle battute. […] ll fatto è che con l’uso indiscreto dei classici, il passato, corto-circuitandosi col presente ,rischia di diventare un enorme ‘spot commerciale’ per le discipline che molti di noi insegnano (fino ad oggi bersagliate –è vero –dalla retorica neoliberistica dell’utilità),o anche, nel peggiore dei casi, strumento di autopromozione narcisistica da spendere con leggerezza nell’arengo del dibattito culturale contemporaneo…
La lunga citazione, avete ben letto, è molto eloquente ed esplicita. E anticipa perfettamente quello che il saggio (lo trovate qui, oppure anche qui: abbiate la pazienza anche oggi di seguire il mio consiglio) riesce ad argomentare con sicurezza e calibrata precisione. Fino a giungere, almeno a mio parere, a una conclusione non del tutto scontata, starei per dire sorprendente. Che parla di classici, che dice quello che dei classici vale ancora la pena di essere detto, e anche quello che dell’utilità della letteratura a volte ci dimentichiamo di dire, mentre sarebbe così facile dirlo, mentre ci invischiamo in discorsi complessi che non aiutano nessuno, né i classici né noi né il ruolo che i classici continuano ostinatamente ad avere nelle nostre vite. Se arrivate alle ultime righe, capirete.
E infine, già che siete arrivati fin laggiù, potete pensare di dedicare qualche altra energia al racconto della nostra pandemia e del nostro vivere dentro la pandemia (che forse sta finendo, ma non so mica). Nel caso vi potete riferivi a un e-book di recentissima uscita (ed evitare così di usare male i classici…), a cui hanno collaborato scrittori, cardiologi, librai, architetti e professori: tutti per raccontare il virus da una delle città italiane che lo hanno attraversato con più fatica e dolore. Si intitola Respiri, il libro elettronico, lo trovate qui se volete, ci sono dentro bei racconti, parole per raccontare il presente, il tentativo di non tacere che la pandemia non si è concretizzata soltanto in malattie e sintomi e perdite, ma anche in storie quotidiane di isolamento, le nostre storie, da cui non abbiamo potuto nasconderci, perché non c’erano nascondigli, perché ci eravamo già nascosti, e chiusi in casa.