rileggere, non capire, ripartire
31 Agosto 2020
Congresso ATBV 2020, Novara, 20-21 novembre 2020
4 Settembre 2020

l’unica eccezione

Uno dei criteri che da sempre uso per sistemare i libri nella mia libreria è quello di separare le voci degli scrittori classici da quelle dei contemporanei. Intendo dire: da una parte c’è Manzoni (e a proposito di Manzoni… leggete questo bell’articolo di Antonio Gurrado, vedete se siete d’accordo con lui – io non lo so mica più) dall’altra parte c’è Starnone, da una parte c’è Proust dall’altra parte c’è Carrère. Sono tutti scrittori che amo, ma i primi sono classici, i secondi ancora non lo so, forse lo saranno, chissà. E poi: i primi sono necessariamente morti, i secondi sono spesso vivi.

Mi è sempre sembrato un buon criterio, lo uso da anni, mi fa stare tranquillo quando per sbaglio passo accanto ai miei libri e li guardo all’improvviso, sorpreso che siano ancora lì. Ma con un’eccezione (c’è sempre un’eccezione, immagino lo abbiate notato).

L’eccezione, per quanto riguarda la mia libreria, è Michel Houellebecq. Il quale, nonostante il fatto evidente che sia vivo (ma ho anche dei dubbi, ogni tanto: è davvero vivo uno come Houellebecq?) sta insieme ai morti, sta con Proust e con Flaubert, non lontano da Rimbaud, a pochi volumi di distanza da Thomas Mann. La mia eccezione, magari non sarete d’accordo, è l’unico scrittore vivo che non riesco a non considerare già un «classico», un autore che ha superato la barriera del contemporaneo e che, in questo senso, è già morto.

Per questo, in omaggio a questa mia eccezione, vi segnalo oggi un post pubblicato un mese fa, mentre io ero houellebecchianamente in vacanza. Lo ha scritto Andrea Coccia ed è uno dei migliori ritratti di Houellebecq (lo trovate qui) che io penso di aver mai letto. A un certo punto scrive così:

Quello che è riuscito a Michel Houellebecq è un colpo da maestro che riesce a pochi e che determina il vero solco che divide la rara e grandiosa letteratura dai libri normali, per lasciar perdere i mediocri. È stato andare oltre la finzione, e andarci con tutto sè stesso, mettendo a nudo in mezzo alla bolgia e con parole vere e puntuali i dolori e le disgrazie prima di tutto di se stesso — quello vero, quel Michel Thomas cresciuto con la nonna, disadattato e frustrato — ma riuscendo a farlo spogliandosi dell’ego nello stesso momento in cui ci si mascherava. Prendendo in ostaggio quel molle corpo del disadattato signor Thomas e raccontando il disagio di tutta l’Umanità. Questo fa Michel Houellebecq: dice la verità, e riesce a farlo praticamente sempre, in ogni riga, in ogni paragrafo, in ogni pagina che scrive…

E poi prosegue, sintetico e puntuale, citando illuminanti frasi dello scrittore morto-vivo e riuscendo a costruirne un ritratto breve ma lucidissimo, come si fa con i classici. I quali, si sa, non smettono mai di parlarci, eccetera eccetera, anche quando noi abbiamo del tutto smesso di ascoltarli. E anche questa, se ci penso un po’, è un’ottima ragione per tenere i libri di Houellebecq là dove sono, non lontano da Rimbaud e da Baudelaire.

[Vi ho mentito, naturalmente. Non è l’unica eccezione. Ce n’è un’altra, tutta italiana: uno scrittore vivo, uno scrittore bravissimo che ho già messo nel reparto dei classici, vicino a Calvino, a Pavese, a Sciascia, a Fortini. Ma di questo scrittore (la cui storia recente è triste e a cui già ho dedicato molti sguardi dall’Oblò) vi racconterò un’altra volta, quando sarò molto più malinconico di così.]

Davide Profumo
Davide Profumo
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1 Comment

  1. .mau. ha detto:

    io i Promessi sposi me li sono letti seriamente solo alla fine del liceo, quando non avevo nessun obbligo 🙂 (però sapevo l’incipit dell’introduzione, almeno fino a “deffinire” e immagino di sapere perché l’Adda fosse così importante da passare per Renzo)
    Però è vero: analizzare la letteratura è una tortura sia per lo studente che per la letteratura stessa.

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