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27 Luglio 2009Nutrizione e prevenzione delle malattie cardiovascolari: quale ruolo per uno score di aderenza alla dieta mediterranea?
29 Ottobre 2009Lo studio RE-LY
Luigi Oltrona Visconti
Divisione di Cardiologia
Fondazione Irccs Policlinico S. Matteo
Piazzale Golgi, 19 Pavia
La fibrillazione atriale è l’ aritmia più frequente che si riscontra nella pratica clinica, è gravata da un rischio annuale di stroke che va dall’ 1% al 7% ed è un predittore indipendente di mortalità.
L’ obiettivo principale della strategia terapeutica è la prevenzione dello stroke basata sui farmaci anticoagulanti orali che tuttavia rappresentano una delle più rilevanti difficoltà che oggigiorno il Medico può incontrare nella condotta di una terapia farmacologica. Infatti, sebbene le raccomandazioni all’ uso degli anticoagulanti, basate sulle evidenze della sua efficacia, siano chiare, si stima che i farmaci vengano prescritti solamente a due terzi dei pazienti candidati al trattamento e che, tra costoro, meno di due terzi mantengano il range terapeutico desiderato per un periodo di tempo accettabile. I problemi connessi alla loro assunzione sono principalmente dovuti all’esigua finestra terapeutica tra efficacia antitrombotica e rischio di emorragia oltre alla difficoltà a mantenere costante il range terapeutico prefissato, alla necessità di periodici controlli dei valori di INR e all’ interferenza con il loro metabolismo. di farmaci, cibi e fattori genetici
Per questi motivi la sfida della ricerca di una nuova strategia anticoagulante orale nei pazienti con fibrillazione atriale è partita da tempo, ma finora senza successo. Lo studio ACTIVE-W ha dimostrato che l’ associazione di aspirina e clopidogrel non riduce gli eventi embolici rispetto alla terapia con warfarin. (1) Gli studi SPORTIF hanno evidenziato l’ efficacia di ximelagatran, un inibitore diretto della trombina, nel ridurre gli eventi cerebrali che si accompagna tuttavia a un eccesso intollerabile di epatotossicità. (2) Un nuovo farmaco, il tecarfarin, che ha lo stesso meccanismo d’ azione del warfarin ma, essendo immune dall’ interferenza dei fattori dietetici e genetici, potrebbe evitare gli effetti del sovra e del sottodosaggio, è stato sperimentato su un numero ancora limitato di pazienti. (3) Al momento i farmaci veramente innovativi che agiscono sulla cascata coagulativa in modo differente dagli inibitori della vitamina K sono relativamente pochi in quanto per la profilassi a lungo termine dello stroke nei pazienti debbono avere una formulazione per via orale. In pratica sono in fase avanzata di sperimentazione alcuni inibitori diretti del fattore X o della trombina.
In questo scenario molto di recente si è profilata all’ orizzonte una svolta veramente innovativa e probabilmente molto concreta : sono stati infatti comunicati alla fine di Agosto al Congresso dell’ European Society of Cardiology e due settimane dopo pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio The Randomized Evaluation of Long-Term Anticoagulation Therapy (RE-LY). (4) Questo megatrial di non-inferiorità ha confrontato il warfarin e il dabigatran, un nuovo potente inibitore della trombina che si assume per os due volte al giorno, è escreto all’ 80% per via renale e non necessita di regolare monitoraggio. In 951 centri di 44 nazioni sono stati arruolati 18.113 pazienti con fibrillazione atriale ad aumentato rischio di stroke, ovvero con almeno una delle seguenti condizioni concomitanti: precedente evento cerebrovascolare, frazione di eiezione inferiore al 40% o recente scompenso cardiaco o classe NYHA superiore a 1, età superiore a 75 anni o superiore a 65 anni se accompagnata da diabete, ipertensione o malattia coronarica. Erano esclusi solamente i pazienti con creatinina clearance inferiore a 30 ml al minuto o epatopatia. La randomizzazione avveniva in cieco al dosaggio di 150 o 110 mg di dabigatran due volte al giorno o in aperto a un dosaggio di warfarin finalizzato a mantenere l’ INR tra 2.0 e 3.0. I pazienti sono stati seguiti per due anni allo scopo di confrontare tra i tre gruppi l’ incidenza dell’ end-point principale costituito da stroke o embolia sistemica e il beneficio clinico netto principale costituito dall’ evenienza di stroke, embolia sistemica o polmonare, infarto miocardico, morte o emorragia maggiore. Dabigatran ha ridotto rispetto a warfarin il rischio annualizzato dell’ end-point primario in modo significativo del 34% per il dosaggio 150 mg e in modo non significativo del 9% per quello da 110 mg. Gran parte di questo effetto è dovuto alla riduzione dello stroke emorragico. Inoltre il dosaggio più elevato del nuovo antitrombinico ha determinato una riduzione della mortalità ai limiti della significatività. Sempre rispetto a warfarin con dabigatran 110 mg l’ incidenza di sanguinamenti maggiori era significativamente ridotta del 20% mentre con il dosaggio di 150 mg lo era in modo non significativo del 7%. Il trial ha quindi dimostrato la non inferiorità di dabigatran rispetto a warfarin e la sua superiorità al dosaggio più elevato nel ridurre gli accidenti cerebrovascolari e al dosaggio più basso nel ridurre i sanguinamenti. L’ INR è rimasto nei range prestabiliti nel 64% dei pazienti trattati con warfarin e la percentuale di pazienti che hanno sospeso il trattamento prescelto è stata del 16.6% nel gruppo che assumeva warfarin e poco più del 20.0% nei due gruppi che assumevano dabigatran, in quest’ ultimo caso prevalentemente per la comparsa di importante dispepsia. E’ importante sottolineare che non si è verificato un eccesso di alterazioni della funzionalità epatica tra i pazienti trattati con dabigatran rispetto a quelli in terapia con warfarin.
I risultati di questo studio rappresentano un importante passo avanti nella possibilità di prevenire gli episodi embolici nei pazienti con fibrillazione atriale. Probabilmente per la prima volta avremo a disposizione un anticoagulante orale che a parità di efficacia e sicurezza non necessita di monitoraggio e di adeguamenti del dosaggio. Alcuni aspetti che emergono dall’ analisi dei risultati sono degni di ulteriori riflessioni : 1) non vi è una interpretazione razionale della lieve maggiore incidenza di infarto del miocardio nei pazienti che assumevano i due dosaggi di dabigatran 2) è stato abbastanza consistente l’ effetto collaterale sull’ apparato gastroeneterico che ha causato nei pazienti trattati con dabigatran gran parte dei drop-out per dispepsia e una maggior incidenza di sanguinamenti dal tubo gastroenterico 3) nonostante la media dell’ età dei pazienti arruolati fosse di 71.5 (+8.6) anni, non sono noti benefici e rischi del nuovo antitrombinico nei grandi anziani che costituiscono sempre più la popolazione che deve essere trattata per prevenire gli episodi embolici 4) è aperta la questione dell’ opportunità di passare a dabigatran nei pazienti che assumono warfarin stabilmente: per rispondere a questo quesito sono attesi i risultati di una sottoanalisi prespecificata 5) non sappiamo se, in caso di cardioversione a ritmo sinusale, si può mantenere dabigatran o è necessario ritornare a warfarin 6) sono comunque da tener presente nella pratica clinica le interazioni di dabigatran con i farmaci inibitori delle glicoproteine P, quali l’ amiodarone, il verapamil e la chinidina, che possono innalzare i livelli serici del farmaco 7) non è disponibile un antidoto 8) per trarre le conclusioni definitive dal trial sono necessari i risultati a più lunga distanza.
La considerazione più rilevante che scaturisce dai risultati del RE-LY è che la probabile commercializzazione di due differenti dosaggi del farmaco obbligherà verosimilmente il clinico a ritagliare la terapia anticoagulante sulle caratteristiche del singolo paziente: se si considera prevalente il rischio embolico su quello emorragico si potranno scegliere 150 mg di dabigatran che rispetto a warfarin conferiscono una maggior protezione dagli eventi embolici a parità di rischio di sanguinamento, viceversa se prevalesse il rischio emorragico su quello embolico si potranno scegliere 110 mg di dabigatran che, rispetto a warfarin, a parità di capacità di profilassi antiembolica riducono il rischio di sanguinamenti.
Probabilmente tra non molto tempo sarà disponibile un nuovo farmaco, il dabigatran, per lo meno analogo se non superiore per efficacia e sicurezza agli anticoagulanti orali attualmente impiegati, che per le sue caratteristiche di maneggevolezza consentirà un netto miglioramento della qualità di vita dei pazienti trattati.
Bibliografia
1. ACTIVE Writing Group of the ACTIVE Investigators. Clopidogrel plus aspirin versus oral anticoagulation for atrial fibrillation in the Atrial Fibrillation Clopidogrel Trial with Irbesartan for prevention of Vascular Events (ACTIVE W): a randomised controlled trial. Lancet 2006; 367: 1903-12.
2. Deiner HC, Executive Steering Committee of the SPORTIF III and V Investigators. Stroke prevention using the oral direct thrombin inhibitor ximelagatran in patients with non-valvular atrial fibrillation : pooled analysis from the SPORTIF II and V studies. Cerebrovasc Dis 2006; 21: 279-93.
3. Ellis D, Usman MHU, Milner P, Canafax D, Ezekowits MD. The first evaluation of a novel vitamin K antagonist, tecarfarin (ATI-5923) in patients with atrial fibrillation. Circulation 2009; 120: 1029-35.
4. Connolly SJ, Ezekowitz MD, Ysuf S, Eikelboom PJ, Oldgren J, Parekh A, Pougue J, Reilly PA, Themeles E, VArrone J, Wang S, Alings M, Xavier D, Zhu J, Diaz R, Lewis BS, Darius H, Diener HC, Joyner CD, Wallentin L, and the RE-LY Steering Committee and Investigators. Dabigatran versus warfarin in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2009; 361: 1139-51.