Obesity is associated with fatal coronary heart disease independently of traditional risk factors and deprivation
16 Marzo 2011Aassociation between c reactive protein and coronary heart disease: mendelian randomisation analysis based on individual participant data. C Reactive Protein Coronary Heart Disease Genetics Collaboration (ccgc)
31 Marzo 2011Lo studio Averroes
Prof. Raffaele De Caterina
Istituto di Cardiologia. C/O Ospedale Ss. Annunziata
Via dei Vestini – 66013 Chieti – Italy
Istituto di Cardiologia e Centro di Eccellenza Studi Sull’invecchiamento – Università degli Studi “G. D’annunzio” – Chieti
Lo studio AVERROES (NCT00496769) è stato uno studio randomizzato, in doppio cieco, con doppio farmaco falso (“double-dummy”). La forma di doppio cieco “double-dummy” permette sicurezze aggiuntive contro errori od effetti placebo. In questo tipo di studi, a tutti i pazienti sono somministrati sia placebo che dosi attive dei farmaci sotto studio. Lo studio è stato disegnato per valutare la superiorità dell’anticoagulante Inibitore del fattore Xa (FXa) apixaban, dato a 5 mg 2 volte al giorno, sull’aspirina (81-324 mg al giorno) per la prevenzione dell’ictus in 5,600 pazienti con fibrillazione atriale (FA) e almeno un fattore di rischio aggiuntivo per l’ictus, che non avevano potuto effettuare o erano stati considerati “inadatti” al trattamento con un antagonista della vitamina K (VKA).1 L’endpoint primario di efficacia era il verificarsi di un ictus ischemico o emorragico, o di un’embolia sistemica. Nell’aprile 2010 la Commissione per il Controllo dei Dati e la Sicurezza (Data and Safety Monitoring Board) raccomandava l’interruzione precoce dello studio per un chiaro beneficio a favore di apixaban. La durata mediana del follow-up era stata di 1.5 anni. Si erano verificati 51 eventi di ictus o embolia sistemica nei pazienti randomizzati ad apixaban (1.6%/anno) e 113 in quelli randomizzati all’aspirina (3.7%/anno)(hazard ratio (HR)=0.45, intervalli di confidenza al 95% (95% CI) 0.32-0.62; P<0.001). La mortalità era stata del 3.5%/anno con apixaban e del 4.4%/anno con aspirina (HR=0.79, 95% CI 0.62-1.02; P=0.07). C’erano stati 44 sanguinamenti maggiori (1.4%/anno) con apixaban e 39 (1.2%/anno) con aspirina (HR=1.13, 95% CI, 0.74-1.75; P=0.57). C’erano stati 11 sanguinamenti intracranici con apixaban e 13 con aspirina.1
Veniva pertanto dimostrata una chiara superiorità di apixaban sull’aspirina in termini di efficacia, con un profilo di sicurezza paragonabile. Discuterò qui brevemente le implicazioni cliniche dello studio.
AVERROES contestualizzato
Uno studio precedente in una popolazione di pazienti alquanto simile, ACTIVE A,2 aveva valutato l’ipotesi di una superiorità della combinazione di aspirina + clopidogrel. In questi pazienti, l’aspirina associata al clopidogrel aveva ridotto il numero di eventi vascolari maggiori, in particolare l’ictus, rispetto all’aspirina da sola (rischio relativo, RR, 0.72, 95% CI, 0.62-0.84), ma con un rischio aumentato di emorragia maggiore (RR 1.56, 95% CI, 1.28-1.89), e pertanto con un beneficio clinico netto incerto.2
Pertanto lo studio AVERROES dimostra che il nuovo inibitore del FXa apixaban è chiaramente migliore dell’aspirina in termini di efficacia, con un profilo di sicurezza sorprendentemente simile. Sulla base di un confronto indiretto con lo studio ACTIVE A, è gioco-forza concludere che apixaban, in questo momento, è la migliore alternativa all’aspirina mai dimostrata in pazienti considerati “inadeguati” per un trattamento con VKA.
Punti di forza di AVERROES
Punti di forza e importanti messaggi dello studio sono pertanto:
• Il disegno di studio randomizzato in doppio cieco, double-dummy;
• Il chiaro esito favorevole, con migliore efficacia e simile profilo di sicurezza rispetto all’aspirina;
• Notizie rassicuranti sulla tollerabilità della somministrazione due volte al giorno di apixaban adottata nello studio;
• La conferma del fatto che, in generale, tutti i nuovi anticoagulanti che hanno completato o stanno per completare un programma di fase 3 (dabigatran etexilato,3 rivaroxaban (http://www.theheart.org/article/1148785.do), e apixaban) hanno tutti un forte punto a favore nella riduzione dei sanguinamenti intracranici.
Possibili critiche ad AVERROES
Il punto di maggiore criticità di AVERROES è sui criteri d’inclusione per lo studio. I pazienti erano eleggibili se avevano un’età uguale o superiore a 50 anni e avevano una FA documentata nei 6 mesi prima dell’arruolamento o con un’elettrocardiogramma a 12 derivazioni il giorno della visita di screening. I pazienti dovevano anche avere almeno uno dei seguenti fattori di rischio per l’ictus: un precedente ictus o attacco ischemico transitorio, età ≥75 anni, ipertensione arteriosa (sotto trattamento), diabete (sotto trattamento), insufficienza cardiaca (classe New York Heart Association 2 o più al momento dell’arruolamento), una frazione d’eiezione ≤35%, o documentata arteriopatia periferica. In aggiunta, i pazienti non potevano ricevere terapia con VKA, o perché questa si era già dimostrata inappropriata, o perché i pazienti venivano considerati a priori “inadatti”. I motivi per tale essere “inadatti” da parte dei pazienti dovevano essere documentati nella scheda clinica del paziente.
Dei 5599 pazienti arruolati, le ragioni per il giudizio di essere “inadatti” alla terapia con VKA comprendevano:
1. la dimostrazione che l’International Normalized Ratio (INR) non potesse essere mantenuto nel range terapeutico;
2. l’essersi verificato un evento avverso non correlato al sanguinamento durante terapia con VKA;
3. un sanguinamento grave durante terapia con VKA;
4. la valutazione che l’INR non potesse (o avesse alta probabilità di non poter essere) misurato agli intervalli richiesti;
5. la previsione di una difficoltà a contattare il paziente per variazioni urgenti della dose di VKA;
6. incertezza sulla capacità del paziente a seguire istruzioni sulla terapia con VKA;
7. concomitanza di farmaci che potessero alterare l’attività dei VKA;
8. concomitanza di farmaci il cui metabolismo potesse essere influenzato dai VKA;
9. una valutazione che il paziente fosse incapace o “probabilmente incapace” di aderire a restrizioni su fattori come alcol e dieta;
10. epatopatie;
11. alterazioni cognitive, insufficienza cardiaca o miocardiopatie, e “altri fattori potenzialmente associati ad aumentato rischio con l’uso di VKA”;
12. un punteggio CHADS2 di 1 o meno;
13. la non raccomandazione dei VKA da parte del medico;
14. altre caratteristiche indicanti che il rischio di ictus fosse troppo basso da meritare il trattamento con VKA;
15. il rifiuto del paziente a prendere VKA; e
16. “altre ragioni”.
Tutti questi motivi possono essere raggruppati in tre grosse categorie:
• Una valutazione da parte del medico che il rischio tromboembolico (nonostante che un punteggio CHADS2 di almeno 1 fosse un criterio d’inclusione) fosse troppo basso da meritare una terapia con VKA (11-12%);
• Il rifiuto da parte del paziente a prendere VKA come unico motivo (circa il 15%);
• Una valutazione soggettiva da parte del medico circa l’essere il paziente “inadatto” alla terapia: circa ¾ dei casi.
Si può chiaramente contestare ciascuna di queste categorie. Le attuali line guida ESC, per esempio, sottolineano l’opportunità dei VKA anche per categorie a basso rischio (CHADS2VASC2=1)4 per la dimostrazione che anche questi pazienti hanno da guadagnare dall’uso di un VKA al posto di farmaci antipiastrinici.5 Pertanto la categoria di pazienti “a rischio tromboembolico troppo basso per meritare l’uso dei VKA” si sta attualmente restringendo sempre di più. Il rifiuto da parte dei pazienti ad assumere VKA è esso stesso fortemente influenzato dalla capacità del medico a trasmettere il messaggio dell’importanza di una terapia appropriata per evitare l’ictus. La parte maggiore dell’”essere inadatatti” alla terapia anticoagulante era la percezione da parte del medico di un beneficio clinico netto (il rapporto rischio-beneficio) incerto per i VKA, cosa che è in larga parte soggettiva e suscettibile di altri interventi, come ad esempio una migliore istruzione dei medici stessi al riguardo. E tuttavia queste proporzioni riflettono l’attuale sotto-utilizzazione dei VKA in molteplici registri. Nel National Anticoagulation Benchmark Outcomes Report (NABOR), che valutava retrospettivamente le abitudini terapeutiche in pazienti ospedalizzati con AF (n=945), dell’86% dei pazienti eleggibili per il warfarin, soltanto il 55% lo riceveva in realtà.6 Questa proporzione era simile per ospedali accademici e ospedali di comunità. Nello Euro Heart Survey on AF, soltanto il 67% dei pazienti eleggibili per i VKA li ricevevano veramente in prescrizione, e il 7% dei pazienti eleggibili addirittura non riceveva alcuna forma di trattamento antitrombotico.7
Per questi motive la popolazione compresa nell’AVERROES rappresenta una popolazione veramente esistente in cui, per varie ragioni, I VKA sono – di fatto – non utilizzati, nonostante la chiara evidenza di efficacia.
Conclusioni
In sintesi, in pazienti considerati “inadatti” ai VKA, per qualsiasi motivo, categoria di pazienti realmente esistente ed ampia, sempre documentata nei registri, apixaban è un’opzione terapeutica più efficace dell’aspirina, e sicura quanto l’aspirina stessa, con un’incidenza molto bassa di complicazioni di sanguinamento maggiore e specialmente di emorragia intracranica. Apixaban viene adesso anche valutato nello studio Apixaban for the prevention of stroke in subjects with AF (ARISTOTLE, NCT00412984), che è uno studio di fase III randomizzato, in doppio cieco e double-dummy, che valuta la non inferiorità di apixaban nei confronti del warfarin sull’incidenza combinata di ictus ed embolia sistemica in ≈18,000 patients con AF. I pazienti inclusi devono avere almeno un fattore di rischio aggiuntivo per l’ictus, tra cui l’età ≥75 anni, un pregresso ictus, TIA o episodio di embolia sistemica, e diabete. Lo studio dovrebbe essere completato nell’aprile 2011. Questo studio ci dirà se apixaban è anche un’alternativa ai VKA in pazienti considerati questa volta “adatti” ai vecchi anticoagulanti orali.
BIBLIOGRAFIA
1. Connolly SJ, Eikelboom J, Joyner C, et al. Apixaban in Patients with Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2011.
2. Connolly SJ, Pogue J, Hart RG, et al. Effect of clopidogrel added to aspirin in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2009;360:2066-78.
3. Connolly SJ, Ezekowitz MD, Yusuf S, et al. Dabigatran versus warfarin in patients with atrial fibrillation. N Engl J Med 2009;361:1139-51.
4. Camm AJ, Kirchhof P, Lip GY, et al. Guidelines for the management of atrial fibrillation: the Task Force for the Management of Atrial Fibrillation of the European Society of Cardiology (ESC). Eur Heart J 2010;31:2369-429.
5. Healey JS, Hart RG, Pogue J, et al. Risks and benefits of oral anticoagulation compared with clopidogrel plus aspirin in patients with atrial fibrillation according to stroke risk: the atrial fibrillation clopidogrel trial with irbesartan for prevention of vascular events (ACTIVE-W). Stroke 2008;39:1482-6.
6. Waldo AL, Becker RC, Tapson VF, Colgan KJ. Hospitalized patients with atrial fibrillation and a high risk of stroke are not being provided with adequate anticoagulation. J Am Coll Cardiol 2005;46:1729-36.
7. Nieuwlaat R, Capucci A, Camm AJ, et al. Atrial fibrillation management: a prospective survey in ESC member countries: the Euro Heart Survey on Atrial Fibrillation. Eur Heart J 2005;26:2422-34.