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lo stato di salute dei libri

Ho letto, ieri pomeriggio, questo articolo sull’Ulisse di James Joyce, che pochi giorni fa ha compiuto cento anni e pare essere in grande forma. Ne ho letto molti, di articoli sull’Ulisse di Joyce, mi ha fatto piacere leggerli, alcuni sono davvero interessanti (non solo questo, anche quest’altro, per esempio), ma questo in particolare mi ha lasciato una domanda che non mi ero mai posto, e che forse è utile porre qui, in un sito di medici cardiologi, abituati a studiare il battito del cuore dei pazienti. La domanda che ho letto nell’articolo è questa:

Di che salute gode, quindi, a cent’anni dalla sua prima pubblicazione avvenuta il 2 febbraio 1922, in concomitanza col quarantesimo compleanno di Joyce, il più famoso libro che nessuno ha mai letto fino in fondo?

La risposta è nell’articolo, ed è ben congegnata e convincente. Ma la domanda, anche se foste tra coloro che non sono mai riusciti a leggere davvero tutto l’Ulisse di Joyce e vi sentiste in colpa dal giorno stesso del centenario, senza pausa (lo confesso, io sono uno di questi: ho letto Proust e Ariosto e Tasso e Dante e Musil e Broch e tanti altri poemi e romanzi interminabili, dalla prima all’ultima riga, a volte divertendomi a volte annoiandomi, ma non sono mai riuscito a leggere Joyce, non per intero), la domanda vale per tanti altri libri, che sono qui alle mie spalle, che mi sono girato improvvisamente a guardare, ognuno nel suo scaffale di paziente silenzioso, a cui ho finalmente chiesto: come state?

Un esercizio interessante, questo dello stetoscopio libresco. Il battito del cuore dei libri. Come state, miei poemi, miei romanzi, mie passioni intellettuali di sempre, mia liberazione e mia rovina? Dante sta bene, nonostante il 2021 appena trascorso, l’anno delle celebrazioni, tutte quelle parole buttate su di lui in modo insensato, Dante ce l’ha fatta anche stavolta, è sopravvissuto, Dante esce da ogni selva, è la sua forza. Anche Leopardi sta bene: sarà il commento di Luigi Blasucci, sarà la pandemia che ci ha mostrato il volto feroce della Natura, non lo so, ma Leopardi sta bene, forse come mai era stato da vivo. Stanno male Manzoni e Petrarca, come accade da tanto tempo, un po’ abbandonati alla scuola, un po’ dalla scuola stessa traditi, un po’ trascurati, letti poco (Petrarca) e letti male (Manzoni). Sta male, secondo me, anche Ungaretti: le sue poesie come ingredienti di antologie letterarie, niente di più, quasi mute, ricordate male, mai più riprese in mano, piccole scimmie ammaestrate nel vuoto scuro della pagina bianca. Sta bene invece Montale, da molti anni, sta benissimo, saranno i paesaggi marini, saranno le sue donne così ipnotiche, non lo so; stanno ovviamente malissimo Tasso e Ariosto, così lontani da noi, sono praticamente ri-morti Alfieri, Foscolo, Parini, forse anche Boccaccio, di cui si sorride ma che nessuno legge mai. E Pirandello? Mah, non lo so: mi pare più che altro mummificato, ridotto alla banalità di qualche luogo comune, le maschere che tutti indossiamo, signoramia; forse sta un po’ meglio Italo Svevo, più difficile da incasellare, l’amico di James Joyce. E i più recenti? Voglio dire, come stanno Calvino, Sciascia, Pavese, Fenoglio, Vittorini, Ginzburg, Morante, Moravia? Più o meno tutti allo stesso modo, un po’ ammaccati, mi pare, hanno bisogno di restare in osservazione, magari Pavese un po’ meglio, per certi versi nostalgici, e anche Elsa Morante mi pare. Il più in salute è Primo Levi, nonostante il giorno della memoria e le celebrazioni annuali e la fatica di reggere la retorica delle commemorazioni. E poi tanti altri, tantissimi altri, senza nemmeno avere il tempo di guardare tutti i romanzi stranieri, i francesi, gli americani, i classici dell’Ottocento russo…

Ma insomma, era il mio «giro» dei pazienti (lo chiamate così in cardiologia, vero?), questo, la rassegna brevissima dei battiti cardiaci dei libri che cercano di sopravvivere, il controllo di quelli che non hanno bisogno di un letto, la conferma delle medicine da somministrare, la presa d’atto di quelli che invece resteranno in unità coronarica, forse per tantissimo tempo ancora, forse non ne usciranno più. Mi sono guardato alle spalle e avevo dei «pazienti» sugli scaffali della libreria, anche loro alla ricerca ostinata della sopravvivenza.

Mi ha preso un po’ di malinconia. Non so se capiti anche a voi, di sentirvi malinconici, dopo il vostro giro dei pazienti, immagino di sì. Non è facile avere a che fare con il cuore degli altri. Che è battito ed è parole: nel mio caso più che altro è parole, ma non credo faccia tutta questa differenza.

Davide Profumo
Davide Profumo
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