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L’Ischemia trial, il buon senso e il senso comune

A cura di Claudio Cuccia

 

 

Ebbene sì, finalmente è stato pubblicato l’ISCHEMIA trial (1), un confronto tra le strategie invasiva e conservativa nei pazienti con malattia coronarica cronica (stabile, come la chiamavamo noi fino a pochi mesi fa e come tuttora la chiamano i colleghi statunitensi).

 

Il trial è commentato da due mostri sacri come Eugene Braunwald e Elliot Antman (2), che, in estrema sintesi, concludono che:

  • se si risponde alle caratteristiche del paziente arruolato nel trial,
  • se si è attenti ad assumere una terapia medica come si deve,
  • se il paziente non è affranto dall’angina,

il trattamento da scegliere, quanto meno il trattamento da preferire per primo, è quello medico, conservativo.

  • Se poi si associasse un’insufficienza renale (CKD)(3) – di cui parleremo separatamente –, che pur comporta un rischio tre volte maggiore di eventi rispetto a chi il rene ce l’ha e funziona che è una meraviglia,

la scelta della terapia conservativa appare ancor più ragionevole.

 

Senza perderci troppo nei dettagli, vediamo di mettere sotto la lente d’ingrandimento le ragioni a supporto di queste affermazioni.

 

 

Le caratteristiche del paziente arruolato nel trial

 

Non è stato facile arruolare, visto che i pazienti sono 5179 e giungono da 320 centri di 37 diverse nazioni, e sono stati arruolati in cinque anni e mezzo (luglio 2012 – gennaio 2018). A questi pazienti se ne aggiungono altri 777 con malattia renale, riuniti un altro trial(3) e di cui parleremo in un’altra news.

I pazienti dovevano presentare un quadro clinico di stabilità, con dimostrazione di ischemia moderata o severa ai test di imaging o severa se mai l’imaging non fosse possibile.

Venivano esclusi i pazienti con FGR <30 ml/min, una recente (entro 2 mesi) sindrome coronarica acuta, una stenosi non protetta del TC di entità di almeno il 50%, una FE <35%, una classe NYHA III o IV, un’angina resistente alla terapia ottimale e altre ragioni ‘minori’, che sono riportate nella Supplementary Appendix.

La maggior parte dei pazienti veniva sottoposta a CT angiography al fine di confermare la malattia coronarica ostruttiva ed escludere una malattia grave del TC.

La terapia medica era assolutamente corrispondente a quanto le linee guida raccomandano, sia nei pazienti arruolati al braccio conservativo, sia in quelli che verranno sottoposti alla terapia invasiva.

 

 

 

Trattamento

 

I pazienti, una volta rispettati i criteri sopraesposti, venivano randomizzati, in un rapporto di 1:1, a terapia invasiva (terapia medica ottimale + angiografia + rivascolarizzazione quando necessaria e fattibile, ed entro 30 giorni) oppure a terapia conservativa, con angiografia solo nel caso di insuccesso della terapia medica. I controlli clinici venivano fatti a 1.5, 3, 6 e12 mesi, quindi ogni 6 mesi, per un follow-up mediano di 3.2 anni.

 

 

Risultati

 

Il primary-endpoint fu un composito di morte cardiovascolare, infarto miocardico, ospedalizzazione per angina instabile, scompenso cardiaco, recupero da arresto cardiaco.

L’end-point secondario fu un composito di morte cardiovascolare o infarto miocardico e ‘angina-related quality of life’.

Il 96% dei pazienti inviati alla strategia invasiva fece una coronarografia e il 79% fu sottoposto a rivascolarizzazione (74% PCI, 26% CABG).

Nei pazienti arruolati alla terapia conservativa, il 26% fece una coronarografia e il 21% fu poi sottoposto a rivascolarizzazione miocardica (il 15% a rivascolarizzazione prima dell’accadimento dell’evento di primary-outcome).

 

 

 

 

Non c’è stata differenza significativa tra le strategie testate, né per quanto riguarda gli outcome primari né per i secondari. I pazienti arruolati alla strategia invasiva hanno mostrato meno angina, sebbene ciò sia stato in parte determinato dalla diversa frequenza dell’angina al basale. La mortalità per tutte le cause a 4 anni fu del 6.4% in entrambe le strategie considerate (144 morti nel braccio conservativo, 145 nel braccio invasivo). Avremo modo di dire altrove che nei pazienti con CKD (3) la mortalità a 3 anni sarà invece del 27%, e di nuovo senza differenza tra le due strategie.

 

 

Conclusioni

 

Le curve di Kaplan-Meier descrivono un numero maggiore di infarti nella strategia invasiva nei primi 6 mesi (infarti periprocedurali?), numero che col passar del tempo diviene più consistente nel braccio conservativo. Alla fine dei 4 anni di follow-up, l’incidenza di morte cardiovascolare o di infarto è maggiore nel braccio conservativo (13.9% vs 11.7%), tanto da far dire a Braunwald e Antman che è stato un peccato che il follow-up non sia stato più lungo e di augurarsi di riuscire a derivare dallo studio uno score di rischio che possa identificare meglio l’andamento degli eventi per i diversi gruppi di rischio dei pazienti.

Certo è che il trial, nonostante le numerose letture a cui si presterà – c’è da aspettarsene una vivisezione, volta forse più alla ricerca dei cosiddetti pregiudizi di conferma che ad altro –, butta acqua sul fuoco dell’entusiasmo che si riponeva nella strategia invasiva. A dire che, in quella che una volta chiamavamo malattia coronarica stabile, l’obiettivo primario resta quello di fornire al paziente il meglio della terapia medica, di vegliare sul suo stile di vita e, senza perderlo di vista, ricorrere agli esami invasivi con precisione chirurgica, quella precisione che fa, della nostra tecnica, un’arte da difendere.

 

 

Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune.

Alessandro Manzoni, Promessi sposi, Cap. XXXII.

 

 

 

Bibliografia

  1. Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. N Engl J Med 2020; 382:1395-407.
  2. Antman Elliot and Eugene Braunwald. Managing stable ischemic heart disease. N Engl J Med 2020;382:1468-1470.
  3. Bangalore S, Maron DJ, O’Brien SM, et al. Management of coronary disease in patients with advanced kidney disease. N Engl J Med 2020 DOI: 10.1056/NEJMoa1915925.

 

 

Claudio Cuccia
Claudio Cuccia
Webmaster. Direttore del dipartimento cardiovascolare, Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero, Brescia

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