Oggi, il labirinto del web, tra un incrocio e l’altro (si dice che si chiamino link) mi ha condotto a questo bellissimo pezzo di Alessandro Piperno, che forse non è nemmeno recentissimo e che parla di Molière e di Tolstoj, di Tartufo e di Anna Karenina; ma parla parecchio anche di noi, medici e pazienti, allievi o insegnanti, e pure mariti, mogli, vicini di casa, possessori di cani o di gatti, guidatori di un automobile, frequentatori di barbieri o di parrucchieri per signora.
A mio parere l’articolo non solo è bello ma dice proprio parole terribilmente giuste. O forse giuste perché terribili, non ho ancora deciso. E lo spunto (quasi) iniziale è questo:
Detesto le persone schiette. Quelle che ti sbattono in faccia quello che pensano. Che ti dicono che sei ingrassato, che hai scritto un articolo insulso, che mentre parlavi di fronte alla vasta platea erano tutti ipnotizzati dal pezzo di spinacio incastrato tra i canini del conferenziere. Per non dire di quelli che proprio ieri hanno visto la tua ex mano nella mano con un altro tizio («sembravano felici»). Mi fa infuriare la finta coscienza immacolata, la malafede travestita da buonafede. Trovo volgare la retorica del pane al pane. E invece ho un debole per le ragazze che dopo il sesso ti dicono che non è mai stato così bello, per gli oncologi pietosi, gli avvocati ottimisti, i ruffiani di ogni foggia e colore. Adoro gli ipocriti. Un grande scrittore francese del secolo scorso diceva che la sincerità è la bava del cattivo umore. Non sempre naturalmente, ma molto spesso l’esigenza di dire una verità spiacevole cela un’inconfessabile frustrazione, un malanimo dissimulato.