Se le guide turistiche fossero un genere letterario, lo confesso, sarebbero il mio genere letterario preferito.
Passo molto tempo a leggere le guide turistiche: e non con uno scopo preciso, per sapere dove andrò o dove sono stato (sì, ammettiamolo: si leggono spesso le guide di viaggio di un luogo dopo esserci tornati, da quel luogo; perché memoria e immaginazione sono parenti strette, praticamente sorelle). Spesso leggo le guide turistiche per puro piacere, senza nessuna utilità, leggo guide di luoghi molto lontani in cui so che non andrò mai, in cui soprattutto non ho nessuna intenzione di andare mai… Mi piacciono le guide di viaggio, tutto qui (e, se posso autocitarmi, l’ho anche già raccontato, molti anni fa).
Però, visto che le guide turistiche non sono un genere letterario, ecco, io avrei anche pensato di farcele diventare. E per esempio coltivo da anni il progetto segreto (tra poche righe non sarà più un segreto…) di scrivere io stesso la guida turistica di un luogo che non c’è: itinerari di viaggio, descrizioni di strade panoramiche, pericoli per i viaggiatori solitari, bar e ristoranti tipici, piatti da dover assolutamente assaggiare, luoghi devastati dal turismo di massa, angoli inesplorati, consigli sul periodo dell’anno in cui andare, le città «da non perdere» se vi piacciono i mercati… Il tutto, ovviamente, di un luogo che non esiste, che mi sto inventando, pieno di nomi di fantasia.
Come se fosse una grande allegoria, come se un luogo esistesse solo perché lo stiamo descrivendo e immaginando. Come se la geografia non fosse altro che un esercizio di equilibrismo delle due sorelle di prima, la memoria e l’immaginazione. Ed è forse proprio per questo che mi piacciono le guide turistiche.
Ed è sicuramente per questo che, qualche anno fa, di ritorno dal mio ultimo viaggio in Grecia, mi divertii molto a leggere una guida turistica di un luogo che non c’è ma che c’è stato, un luogo che si trova solo nella nostra memoria collettiva: la Grecia classica, quella della mitologia, degli eroi e degli dei pagani. Il libro era questo, sorprendente. Silvia Romani che ne è autrice insieme a Giulio Guidorizzi, lo raccontava così:
È un libro da mettere in tasca e tirar fuori sotto un platano o davanti a un caffè, in qualche piazza greca. Si può anche iniziare a viaggiare dalla poltrona di casa e lo si fa attraverso i miti degli antichi. L’idea è un po’ magica: è la speranza, in fondo, di far parlare nuovamente le pietre e permettere loro di raccontare le storie eterne che custodiscono
E ieri sono felicemente venuto a sapere che Romani e Guidorizzi hanno proseguito nel loro racconto di un luogo che non esiste più, e che sta dunque per uscire la guida mitologica alle isole della Grecia. Ho pensato che in giorni come questi, in cui guardiamo il cielo e l’orizzonte immaginando qualche viaggio, qualche giornata di luce più lunga da passare altrove (finalmente), questo potrebbe essere il libro che ci aiuta. Ho pensato che abbiamo bisogno di immaginare luoghi abbastanza lontani da noi stessi, dopo tutti questi mesi a passati a respirare dentro una maschera, chiusi al resto del mondo, stanchi e magari anche un po’ spaventati.
Ho infine pensato che è bello che le prime parole che ho letto a proposito di questo nuovo libro (se ne parla qui) siano state: «Prima degli uomini nacquero le isole».
E prima delle isole, mi sono detto, c’è stato qualcuno che ha immaginato le isole, anche soltanto un’isola, le sue strade, i suoi profumi, le sue coste, le sue pietre… E subito dopo qualcuno che ne ha coltivato con ossessione il ricordo, di quei profumi e di quelle pietre, dalla lontananza in cui era precipitato, in cui tutti precipitiamo. Fu l’invenzione del futuro, e anche della nostalgia. Furono eroi e dèi, letteratura, memoria e immaginazione, fu la poesia, furono (un po’, anche) le guide turistiche.