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libri e distratti

Mi chiedo quanti di voi sappiano chi sia stato Felisberto Hernández. Me lo chiedo perché semplicemente io non lo sapevo fino a stamattina, non lo conosco nemmeno adesso, in verità, se non che ho imparato il suo nome e so che egli è esistito. Ma nient’altro, niente di più, niente di serio. Me lo chiedo anche perché la cosa migliore che ho letto stamattina mi pare proprio che sia questa, che vi invito a leggere adesso, qui sotto, anche senza avere una precisa idea di chi l’abbia detta:

Quando sai che Fantozzi è stato scritto in tre settimane e che in genere un libro oggi viene forgiato, cucinato e poi messo alle stampe in due o tre mesi o in un anno, e vieni poi a sapere che Borges ha scritto le sue opere in una vita, che Felisberto Hernández ci ha messo sessant’anni, che Marquez ha vissuto dodici anni in una pensione di Parigi scrivendo Cent’anni di solitudine e che il grande Robert Musil ci ha messo trentadue anni per scrivere il suo capolavoro, allora ti rendi conto che forse loro meritano un’attenzione particolare.

Mi è piaciuta subito, questa frase. Dice molte delle cose che penso ultimamente di tutti i libri (e anche dei saloni in cui ci sono tanti libri), le dice in modo piano e semplice, senza l’acredine che temo sarebbe sfuggita a me, le dice quasi senza passione. Come vorrei dirla io, questa cosa: che il libro è un oggetto, che per ogni grandissimo libro ce ne sono migliaia di cui possiamo fare a meno, che quelli grandissimi sappiamo già bene quali sono, che abbiamo poco tempo, che forse è meglio che non ci lasciamo troppo distrarre dai libri…

E mi è piaciuto che l’abbia detta proprio Paolo Villaggio, questa cosa. Quello della corazzata, non so se ci capimmo. Uno che davvero è stato divorato dal suo stesso personaggio e dalla sua stessa produzione, secondo me. E che poco prima ha detto anche questa meravigliosa cosa qui (la trovate in questo articolo, come la precedente, come alcune altre degnissime del nostro interesse):

Nella mia biblioteca, avevo un mattone grosso, bello, preciso, che avevo quasi deciso di non leggere prima di morire: L’uomo senza qualità di Musil, tre volumi, inquietanti ed enormi. A quarant’anni ho incominciato improvvisamente a leggerlo e sono entrato in una nuova stagione della mia vita. Questo matematico per trentadue anni, tutte le sere, ha scritto un enorme saggio autobiografico sulle mille variegature dell’animo umano. Vi consiglio di leggere Musil, ma leggetelo con attenzione perché c’è tutto. Se volete avere la chiave per risolvere i vostri problemi, per capire che cos’era l’Europa pre-Rivoluzione russa, pre-Prima guerra mondiale, che cos’è il nazismo e l’anti-ebraismo in Germania, per capire l’uomo del nostro secolo, in Musil la trovate, la trovate in questo signore di Klagenfurt che faceva il matematico.

Ecco, mi pare che questo mattone di cui si parla qui sia un’altra corazzata Potëmikin, a suo modo. E che Paolo Villaggio ci stia dicendo qualcosa sulle corazzate e sui mattoni che forse abbiamo nel tempo frainteso, perché ci faceva comodo, perché ci conveniva, perché ci siamo per lungo tempo distratti. Ecco sì, distratti: forse è questo il punto. Abbiamo lasciato che il mondo ci distraesse. Succede oggi, succede a tutti, succedeva anche prima, anche ai monaci del Medioevo, quasi duemila anni fa (lo si racconta qui, a proposito di Giovanni Cassiano, che si distraeva nel 420 d.C., senza neppure uno smartphone…).

E così forse non sapremo mai bene chi sia stato Felisberto Hernández, non lo leggeremo, forse non leggeremo mai nemmeno Robert Musil, che ci aveva già raccontato tutto il Novecento, prima che accadesse. E ci aggireremo preda delle nostre distrazioni nella pura superficie delle cose, come se non ci fossero alternative:

Esce di casa per una ragione, la dimentica,
sale su un autobus, incontra le persone, le scherma col linguaggio
dice “studente fuorisede”, “tatuata”, “filippino”
per non vedere il fuorisede, la donna tatuata, il filippino.

Davide Profumo
Davide Profumo
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