le nostre domande colte
29 Ottobre 2017i ritagli di ottobre
2 Novembre 2017Se avete cinque minuti da dedicare a una piccola riflessione sulla lettura, mi pare molto utile (e molto divertente) il post pubblicato oggi da Giulio Mozzi, il quale, in dieci punti, ci spiega perché sarebbe meglio non leggere i classici. E non è solo una provocazione (o almeno a me non pare che lo sia): ma piuttosto una riflessione autenticamente critica sul concetto di classico e su quello, ancora più inflazionato, di canone. Ecco qui, per esempio:
Un buon motivo per non leggere i classici, e forse proprio il buon buon motivo, è che la compilazione del canone, quindi della lista dei classici, è appunto un’operazione di potere; e alle operazioni di potere bisogna stare attenti. Basta guardare un’antologia scolastica. Per carità, non sono più i tempi in cui nei programmi scolastici (quelli che oggi non ci sono più) l’unico poeta del quale si facesse esplicitamente il nome, obbligandone la lettura per il valore formativo e patriottico dei suoi versi, era Giosue Carducci. Però, però, la Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis è dura a morire, ed essendo (o parendo) la storia letteraria l’unica storia nazionale disponibile per l’Italia, eccetera. E poi: come si sfugge a secoli di petrarchismo, di monolinguismo, ancora eccetera eccetera. Tuttavia l’ignoranza ci mette appunto nelle mani del potere. Quindi bisogna leggere i classici, conoscerli per filo e per segno, per comprenderne (anche) l’uso che ne fa il potere – e quindi liberarsi dai classici come strumenti del potere. Non “conoscerli per evitarli”, ma “conoscerli per evitarne un certo uso”.
Non a caso, infatti, i tra i momenti in cui il discorso si fa più evidentemente serio ci sono quelli in cui Mozzi cita la bella intervista rilasciata qualche giorno fa da Matteo Marchesini a proposito del canone letterario. Quando per esempio Marchesini dice così:
Canone è una parola magica e minacciosa. Ciò che resta ha a che fare con un valore, ma la definizione di questo valore dipende molto dalla storia che sta fuori dai testi; e anche la meno cruenta, si sa, è storia di eserciti e di vincitori. A me interessa il rapporto tra cultura e potere. È un tema vecchissimo e sempre nuovo, soprattutto quando si contrabbanda per oggettivo ciò che non lo è. Che il gusto mio o di altri sia diverso da quello di qualche canone prevalente, non importa granché. Ma importa sapere di quale cultura, di quale organizzazione dei poteri e della società è frutto e sintomo quel canone. E di quali rimozioni.
Sono scelte di cui tutti (ma chi lavora nella scuola molto di più, perché ne può essere anche vittima) siamo consapevoli; e sono scelte che spesso tradiscono la nostra difficoltà, la nostra passività, la debolezza di adeguarci al canone prescritto e così sia. In questo senso, ha ragione Giulio Mozzi, sarebbe meglio leggere i minori, e lasciar perdere (almeno per un po’) i grandi classici.
E siccome non voglio che pensiate che non sono generoso con voi, eccovi subito un minore che secondo me avrebbe bisogno delle nostre letture (magari proprio per diventare un «classico» e non essere più letto, chissà). Si chiama Camillo Sbarbaro, e ne trovate un bel profilo qui, tracciato da Alessandro Banda, che è un altro scrittore di cui probabilmente dovremmo ogni tanto leggere qualche libro (e che non è un classico, state pur tranquilli, che non fate peccato).