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13 Gennaio 2019la potenza dell’umano (restare vivi)
20 Gennaio 2019Mi sono fidato di un intellettuale scrittore di cui altre volte mi ero fidato e ho fatto bene. E penso che davvero il libro che lui (ignaro) mi ha invitato a leggere qualche settimana fa sia un libro importante, non so se davvero sia il migliore del 2018, ma senz’altro è uno dei migliori che ho letto io. Anche se, appunto, non è affatto un libro del 2018. E d’altronde non poteva essere un caso che anche un altro intellettuale di cui tendo molto spesso a fidarmi (non ciecamente, perché non sono cieco, ma con gli occhi piuttosto socchiusi, questo sì) avesse parlato dello stesso libro con gli stessi accenti. E cioè invitando caldamente me a leggerlo, come adesso io sto caldamente invitando voi a leggerlo.
Ma nessun mistero, quindi. Il libro di cui stiamo parlando è Lezioni di letteratura di Nabokov, uno dei maggiori scrittori del secolo scorso, non c’è bisogno che lo dica io. E il primo intellettuale di cui mi sono questa volta fidato è Christian Raimo, il quale di tale libro ha scelto i citare questo passaggio:
Ad alcuni di voi potrà sembrare che, nella situazione assai irritante del mondo in cui viviamo oggi, studiare la letteratura e, in particolare, studiarne la struttura e lo stile sia uno spreco di energia. […] I romanzi di cui ci siamo imbevuti non vi insegneranno nulla che possiate applicare alle difficoltà della vita; non vi aiuteranno in ufficio, né sul campo di battaglia, né in cucina, né in camera dei bambini. Il sapere di cui ho cercato di farvi partecipi è lusso, puro e semplice. Non vi aiuterà a capire l’economia sociale della Francia, o i segreti del cuore di una donna o di un giovane. Ma, se avrete seguito le mie indicazioni, potrà aiutarvi a provare il senso di appagamento puro e assoluto che dà l’opera d’arte ispirata e ben costruita
Il secondo intellettuale che ha parlato di questo libro elogiandolo è invece Claudio Giunta, che ha scelto di citarne un altro passaggio altrettanto felice (e commovente):
Tutto sommato, io continuerei a raccomandare, non come prigione dello scrittore ma come suo indirizzo permanente, la vituperatissima torre d’avorio, purché ovviamente fornita di telefono e di ascensore, nell’eventualità che a uno possa far piacere correr giù a comprare il giornale della sera o a far salire un amico per una partita a scacchi […]. Ma prima di costruirsi una torre d’avorio, bisogna prendersi l’inevitabile disturbo di uccidere un buon numero d’elefanti.
E ha anche pensato, Claudio Giunta (e il suo pensiero mi è sembrato felicissimo), di associare a questa idea un altro passo di un altro autore del 900 di cui a volte tendiamo a dimenticare la grandezza, Alberto Savinio. Il quale Savinio aveva scritto così:
Costruirsi una torre d’avorio non è da tutti. È frutto di capacità e soprattutto di previdenza. Starci chiuso dentro è segno di saggezza e di profonda scienza della vita. Star chiuso in una torre d’avorio significa avere una vita propria e bastare a se stesso, e chi ha una vita propria e basta a se stesso è un uomo pago di sé e che non chiede agli altri, non toglie agli altri, non nuoce agli altri.
Ecco, mi pare di avere scritto già molto. E soprattutto di avere tante cose su cui riflettere e di averne lasciate altrettante a voi, per le vostre letture e i vostri pensieri sui tempi che stiamo vivendo e sul crescente disordine che li contraddistingue. Ma se ancora non bastasse, c’è una poesia di Brecht che ho letto proprio stamattina sul web (qui) che forse potrebbe accontentarvi. Mi è piaciuta, mi pare sorella delle riflessioni di Nabokov e Savinio, ho deciso che è bello finire anche oggi, ostinatamente (è la mia ostinazione…), con i versi di un grande poeta. Eccoli:
A causa del crescente disordine
Unicamente a causa del crescente disordine
che c’è nelle nostre città piene di lotta di classe,
in questi anni qualcuno di noi ha deciso
di smettere le chiacchiere sulle città di mare,
sulla neve dei tetti, donne, odore
di mele mature in cantina
e sensazioni della carne, di tutto
ciò che fa l’uomo completo ed umano;
ma di parlare soltanto del disordine,
dunque diventare unilaterali, aridi,
irretiti in affari politici
e nell’asciutto “indegno” vocabolario
dell’economia dialettica.
Acciocché questo tremendo affollato convegno
di nevicate (sì, lo sappiamo,
la neve non è soltanto fredda),
sfruttamento, carne sedotta
e giustizia di classe non ci conduca
ad accettar la vita e il mondo
nelle tante diverse
e sanguinose loro contraddizioni.
Voi mi capite.