Ignác Fülöp Semmelweis (1818-1865)
30 Ottobre 2016L’Alirocumab riduce la frequenza di aferesi nei pazienti con ipercolesterolemia familiare: i risultati dell’ODYSSEY-ESCAPE
31 Ottobre 2016Stamattina, proprio stamattina, mi dà lieve consolazione provare a proporre due strani spunti che parlano di bellezza. E mi viene immediatamente in mente una scena di un romanzo (a me vengono spessissimo in mente scene di romanzi e di film, va detto: passo il tempo a farmi venire in mente scene del genere e a chiedermi se sia o meno un problema che devo risolvere…), in cui un uomo (si chiamava Pepe, veniva dalla Galizia ed era una specie di detective) si girava di scatto e incontrava con lo sguardo una donna, e la donna era così bella che:
Ci sono donne che fanno dolere il petto quando si contempla la forma esatta e contenuta delle loro carni, donne che basta che ti guardino perché la pedata di piombo ti spezzi lo sterno e una dolce asfissia ti impedisca di pensare all’esistenza dell’aria… È la loro presenza, il loro essere al mondo ciò che svuota il tempo e lo spazio, che sparge l’angoscia essenziale, la prima angoscia del primo uomo quando si sentì chiamare dalla prima donna.
Non ho mai pensato nel corso dei mie anni, nemmeno una volta dopo aver letto questo passaggio, di saper descrivere meglio di così l’incontro con la bellezza. Ed è a questo passaggio che penso ogni volta che penso a Elena, «per cui tanto reo tempo di volse» (nello stesso canto dantesco in cui c’è anche un’altra donna bellissima, pedata di piombo sul mio sterno pure lei, una donna che dalla bellezza si lascia prendere, «mi prese del costui piacer sì forte / che, come vedi, ancor non m’abbandona», e poi uccidere e trascinare nel fondo del fondo dell’universo, perché la bellezza sa sempre essere terribile…), Elena dunque, la grande bellezza, la donna che scatenò guerre e ne uscì indenne, la donna che abbiamo imparato tutti in qualche modo a detestare, causa di morte e di distruzione, e che invece era solo bella, innocente o colpevole ma soltanto della sua bellezza. Lo spunto viene da qui, insomma:
Elena non è una solo una donna, è la quintessenza della donna e della sua bellezza. Elena appare all’origine dell’Occidente come una bellezza assoluta, leggera, incolpevole del suo volubile amore… non rappresenta la sensualità esaltante e esotica, ma l’inafferrabilità ultima dell’essere femminile.
E poi stamattina, proprio stamattina, c’è un’altra bellezza (che è quella dei luoghi, di cui tantissime volte abbiamo già parlato…) che mi pare necessario ricordare e prendere a spunto. Non ci sono donne bellissime ma soltanto monaci e digiuno in questa storia: e c’è il diavolo che si manifesta proprio attraverso un luogo incantevole, e ci induce in tentazione e ci guarda cadere nella sua rete, nel possibile fondo del fondo da cui solo la mano del santo, il suo perdono, ci salva. È un episodio benedettino di cui sto parlando, e lo trovate raccontato qui:
Tra le varie qualità soprannaturali che Gregorio Magno attribuisce a Benedetto da Norcia nella sua Vita e miracoli del venerabile abate Benedetto, contenuta nel secondo libro dei Dialoghi, c’è quella di capire al volo se una persona tenuta al digiuno lo abbia invece rotto; qualità che, volendo, si potrebbe anche attribuire a quella spiccata capacità di osservazione che il padre del monachesimo dimostra ampiamente nella sua Regola. Gregorio la esemplifica raccontando due episodi molto spiritosi…
E quindi, a proposito di luoghi, di bellezza e anche di san Benedetto, avete capito perché stamattina, proprio la mattina in cui abbiamo perso una delle nostre grandi bellezze. Che probabilmente non salveranno il mondo ma che restano una delle poche consolazioni che ci restano. Sapere che ancora, chissà quando ma senz’altro sì, ancora possiamo girare lo sguardo e incontrare la bellezza, quella pedata di piombo nello sterno, quell’essenziale angoscia che ci condanna intanto che ci salva.