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leggendo, per esempio

Quanta letteratura c’è nelle nostre città? Quanti angoli di quante strade di quanti incroci e quanti spicchi di cielo tra quelli che osserviamo camminando per le strade delle nostre città sono stati già descritti dalla penna di uno scrittore? Il quale li ha fatti percorrere dallo sguardo di un suo personaggio, dai suoi piedi, dai suoi pensieri, mentre andava all’appuntamento con la donna che lo avrebbe tradito, o mentre nascondeva in tasca la pistola con cui avrebbe ucciso l’amico, o mentre cercava, da bravo poliziotto, il colpevole di un omicidio che nessuno aveva capito?

 

Mi piace quando la letteratura si mescola con le nostre città, con i luoghi che abitiamo noi, senza renderci conto che sono gli stessi luoghi che poi troviamo raccontati dentro i libri che magari amiamo. Mi piace e mi dà un pizzico o di felicità, pertanto, trovare libri che raccontino proprio quell’incrocio, quel piccolo prodigio, per cui letteratura e vita finiscono per muoversi sullo stesso sfondo, sotto lo stesso cielo, lungo gli stessi marciapiedi. E una (la letteratura) ci fa capire, dei luoghi che percorriamo, qualcosa che altrimenti ci stava sfuggendo e che invece grazie a lei (la letteratura) impariamo, quasi facilmente, senz’altro docilmente. Perché le cose s’imparano. E s’imparano leggendo, per esempio.

 

Da oggi quindi, se volete (come vorrò io), avete un bel libro che vi può raccontare la Milano letteraria (se siete di Milano; ma anche se non siete di Milano e ogni volta che ci andate la città vi lascia un po’ stupiti, come da sempre fa con i forestieri, anche con me…). La quale Milano è bella e interessante come forse non avevate sospettato, e dunque potrà sorprendervi (e ci dovrebbe essere anche Manzoni, in quelle pagine, se fosse del Novecento, con le entrate di Renzo, durante la carestia e durante la peste, alla ricerca di qualcosa che troverà, per sua fortuna, soltanto la seconda volta…; ma anche certi versi di Franco Fortini o di Vittorio Sereni, che Milano l’hanno raccontata meglio di tante altre pagine inutili, con pennellate improvvise e lampi di sillabe). E Milano la troverete per esempio raccontata così:

 

Milano è una città che si può definire in base a ciò che ognuno vi trova. Per Michele Turazzi, Milano è fatta di carta: così si intitola la sua guida letteraria della città appena pubblicata […] Turazzi dà qui forma a quel “mal di Milano” che spesso prende chi non ci è nato: conoscerne il più possibile le curiosità nascoste dietro ogni luogo. E lo fa raccogliendo le pagine che alcuni dei principali autori del Novecento hanno dedicato alla città, sfondo per i loro personaggi o protagonista di storie mai banali. Una selezione intelligente, che ci restituisce uno spaccato fedele della città nel “secolo breve”. Turazzi ci cala in un’atmosfera che sentiamo vicina e ci mostra da dentro alcune delle sfaccettature più conosciute della città, spiegandocene l’intrinseca bellezza e mostrandoci le mille contraddizioni in cui si dibatte da sempre una città incapace di stare a contemplarsi. Ogni capitolo ha perciò una bonus track, un breve testo supplementare dove, allargando lo sguardo, Turazzi stabilisce un ponte con il lettore e il suo tempo.

 

E se vi piacciono le città, quelle reali come quelle immaginarie, io credo che vi possa piacere anche Borges. E quindi sarete forse felici di leggere questo articolo che prova a sfatare un po’ il luogo comune di un Borges antipatico e scostante, di cui troppe volte abbiamo letto in questi anni e che forse stavamo già assumendo come vero. Lo ha scritto Emanuele Coco, l’articolo, a me è piaciuto molto, e non ho esitato a proporlo qui, come appendice alla nota milanese. E Coco a un certo punto racconta questo aneddoto, molto borgesiano:

 

Cito spesso uno dei miei racconti preferiti, costruito in forma di saggio filosofico. Tratta del tempo, quella inafferrabile sostanza o dimensione che tanto ci affligge per via del suo tracciare rughe sui nostri visi e sottrarre affetti ai nostri giorni. Tale duplice offesa – e il tentativo di scongiurarla – ha mosso i pensatori di ogni epoca a interrogarsi sulla sua natura. Già Sant’Agostino rifletteva: «cos’è il tempo? Se non ci penso lo so, se ci penso non lo so più». Bello sarebbe scoprire che non esiste. Quasi si trattasse di un brutto sogno dal quale finalmente possiamo svegliarci: ancora giovani, di nuovo energici, in compagnia delle persone che abbiamo amato. Per condividere con noi questa speranzosa eventualità, Borges scrisse il saggio che citavo poco sopra. S’intitola Nuova confutazione del tempo. Quando lo presento alle mie studentesse scandisco le parole del titolo per rimarcare l’ironica antinomia dovuta al fatto che qualsiasi confutazione del tempo che possa dirsi “nuova” presuppone evidentemente l’esistenza di una successione temporale. In genere alcune studentesse ridono. Non tutte, però. La ragione è semplice: le prime hanno colto lo humour poetico, le seconde non ci riescono. Ma non è grave. È un’abilità che si può imparare con un po’ di esercizio. Per esempio leggendo Borges.

Davide Profumo
Davide Profumo
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1 Comment

  1. UMBERTO SIMONCELLI ha detto:

    Il venerabile Jorge: chi, chi ha osato definirlo antipatico e scostante ?

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