18 – Discussione finale e take home message, di C. Cuccia
5 Febbraio 2020chi è in gabbia?
12 Febbraio 2020A cosa serve la poesia? Mi chiedono ogni tanto i miei studenti. No, non è vero, non me lo chiedono mai, i miei studenti. A cosa serve la poesia? Mi chiedo invece spesso io, da solo, quando mi alzo la mattina all’alba per andare a spiegare versi di Leopardi o di Ungaretti, a cosa servono questi versi, queste sillabe, questi accenti?, mi chiedo mentre guido, rispetto precedenze, guardo panorami e ascolto parole alla radio, a cosa può mai servire la poesia?, mi chiedo certe domeniche mattina, quando mi sveglio e ogni cosa è assordante rumore di fondo, il pop, i vestiti, le vallette, gli animatori televisivi, i microfoni, i duetti, a niente, mi dico da solo, non serve a niente, a cosa vuoi che serva, mi dico un po’ sconfortato ma soprattutto un po’ beffardo, con me stesso beffardo, come uno che si fa le linguacce da solo, con disdegnoso gusto un po’ infantile, non serve a niente la poesia, l’hai voluto tu, eccoti servito, babbeo, non serve a niente… Ma.
Ma intanto mi si apre sullo schermo una pagina web. Ed è una pagina in cui si parla di monachesimo, la leggo sempre, ci trovo sorprese e spunti inattesi, ed è questa una domenica mattina in cui la poesia non serve a niente, sovrastata dai rumori e dagli umori del sottofondo sottoculturale, e oggi c’è una poesia, di Sandro Penna, e l’autore del blog la definisce «miracolosa» (trovate tutto qui, c’è anche dell’altro), io la leggo, la rileggo, mi pare che sia davvero un miracolo, un prodigio, provo a rispondere alla domanda del blogger che si chiede perché quell’aggettivo «spento», cosa c’è di «spento» in quel monastero di cui parla la poesia di Sandro Penna, mi do una risposta, non so se è quella giusta, probabilmente non c’è nemmeno una risposta giusta, ma non importa, perché subito me ne do un’altra, di risposta: ad accendere le mie mattine, ecco a cosa.
A questo serve la poesia, se la state un poco ad ascoltare. Ad accendere le nostre mattine spente.
Il balcone
Sorprendeva il fanciullo in avventure,
entro libri lontane, dalle ville
il monotono canto delle serve
– la noia verde della primavera.
Vuoti abbagli sul mare.
Ma la nera
lenta teoria dei seminaristi
sulla riva lontana disegnava
– ancora – vaste fantasie di viaggi.
Veleggiavano nuvole di marmo
dorate sullo spento monastero.
Ritornava dal cimitero, lieve,
nelle vie del paese un carro nero.