abituarsi
4 Marzo 2021quel po’ di pace
11 Marzo 2021Se avrete un po’ di tempo da dedicare alla lettura, nei prossimi giorni o nelle prossime settimane, io credo che ci sia uno strano libro, romanzo non romanzo uscito da poco in traduzione italiana, condensatore di storie intrecciate, che potreste apprezzare, come a me è capitato, in un modo che mi ha quasi sorpreso.
Mi piacerebbe ricordarmi chi me lo ha consigliato, un giorno, questo libro: sarà stato un collega, magari un alunno, un amico per strada, sarà stato qualcuno sui social, una recensione letta per caso sul web, oppure cercata e pagata sul supplemento culturale di un quotidiano, sarà stato un incontro casuale sul treno… (questo no, non prendo il treno da più di un anno, altro che incontri casuali). Sarebbe bello che me lo ricordassi, ma non me lo ricordo: e mi dispiace, perché i libri raccontano sempre, in un modo o nell’altro, di un incontro che abbiamo fatto; e hanno sempre, in un modo o nell’altro, una mano che ce li porge e sarebbe bello (e giusto) non dimenticarla. Mi dispiace, l’ho dimenticata.
Si intitola Per antiche strade, questo romanzo non romanzo, e lo ha scritto Mathijs Deen. Non voglio esagerare, ma l’ho trovato bellissimo. Racconta di persone, di viaggi individuali e collettivi, di cammini e di viandanti, storie di percorsi che hanno costruito la storia dell’Europa che abitiamo e di tutta l’umanità, strade narrate come invenzioni e scoperte, intrecciate a comporre un ritratto del nostro continente come forse non sappiamo più immaginarcelo, confusi come siamo nei reticoli burocratici dell’Ue cui siamo modesto e colpevole ingranaggio. (Una storia dell’Europa che, a tratti, sembra l’America, mi è venuto da pensare.)
E parla di strade e di viaggi, ovviamente: cioè di quello che più ci manca, mi pare di poter dire. I treni che non abbiamo più preso, i libri che non abbiamo più visto sfogliare da sconosciuti nelle sale d’aspetto delle stazioni, gli incontri casuali che non ci sono più stati, perché ogni spazio è calcolato, è controllato, è breve ed è necessariamente coperto, da mascherine, da sciarpe, da sguardi bassi e dalla fretta di tornare al sicuro.
Ne trovate qui una bella recensione, se fossi per caso riuscito a incuriosirvi, la quale a un certo punto dice così:
Ogni storia un viaggio, strade che hanno cambiato nomi, che hanno deviato, che hanno facilitato le guerre ma che dopo hanno favorito la pace. Non esiste un’Europa, vuole dirci Deen, senza le vie che l’hanno unita, che hanno agevolato e moltiplicato gli spostamenti. Vie immaginate, vie realizzate, di confine in confine, di città in città. «Chi viaggia attraverso l’Europa viaggia sempre sulle orme di qualcun altro. Sotto ogni impronta ce n’è una precedente».
È un bel libro, è un libro utile e interessante, è anche un libro che fa bene al cuore (vi rubo il mestiere, anche oggi), se anche voi ve lo sentiste stranamente stretto, in questi giorni, da un malessere metafisico e incomprensibile (si chiama angoscia, viene dal latino angere, che significa appunto «stringere»: e non c’è bisogno di ricordarvi che anche l’angina pectoris, infatti…). Si cura con le strade, anche senza percorrerle: basta immaginarle, basta leggerle, basta sapere che sono ancora lì fuori, che le percorriamo da migliaia di anni, che sono da sempre e soltanto le nostre impronte lasciate e ripetute sulla superficie della terra.