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le città e il vuoto

 

Ho trovato interessante (e per questo la segnalo) l’iniziativa di «Rivista studio» di provare a raccontare le città italiane per come ci appaiono durante il mese di agosto. Un po’ perché il rapporto tra i luoghi e le parole che usiamo per descriverli è uno dei temi che è sempre stato al centro dell’Oblò, fin dalla sua nascita; e un po’ perché agosto, per eccellenza il mese della pausa, riempie di silenzio i luoghi che siamo abituati a vedere animati, restituendocene così un’immagine nuova, dilatata, e forse anche sorprendente.

 

Per ragioni biografiche (e di vicinanza geografica) ho molto apprezzato il pezzo su Milano (a cui qui rimando, con questo link e con il brano che segue) Ma già sono on line anche i racconti dedicati a Roma e a Napoli; e altri, promettono, arriveranno nei prossimi giorni. Io, come avrete ben capito, li sto già aspettando:

 

La frenetica e matta Milano non si svuota mai davvero, ma quando arriva il caldo si guarda allo specchio, si slaccia la camicia e lascia da parte la cravatta, ricalibra le proprie pressioni e le ossessioni estetiche, le imposizioni fredde che dalle fredde stagioni si originano ogni anno. Milanesi di nascita, pendolari come me che allungano di frequente la permanenza in città, cittadini acquisiti che vorrebbero presto rivedere le loro città natali, o al contrario sfuggono da loro anche in piena estate, sostano la sera sulle selle delle biciclette o seduti nei bar, stanchi, avvolti in una temperatura che per qualche oscuro e terrificante incantesimo della natura matrigna non è cambiata dalle 16 del pomeriggio; stanno agli angoli delle strade, fuori da pub dalle insegne anonime nelle vie nascoste dietro viale Abruzzi, nei locali dell’Isola che non vedevano l’ora di esplodere, accanto al baracchino delle salamelle che resta aperto tutto l’anno a trenta metri da Eataly e solo cinquanta dai ristorantoni di corso Garibaldi.

 

[Se poi non vi bastasse, sempre a proposito di città e di luoghi in cui passiamo, mi sono imbattuto in un’altra cosa molto particolare, che vi posso qui segnalare: la descrizione di uno strano film («documentario di poesia», lo chiamano) sul duomo di Milano e la sua decennale manutenzione. Non so perché, ma l’ho trovata un’idea straordinaria e davvero poetica. Che è un aggettivo che, se ci fate caso, non uso e non scrivo quasi mai.]

Davide Profumo
Davide Profumo
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