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l’aria da cambiare

Ora che sono passati i giorni, le dichiarazioni, le scuse più o meno accettate, le interviste e anche i gol e le vittorie o le sconfitte, ora che tutto questo è passato mi pare che si possa davvero tirare un respiro forte e pensarla sul serio un attimo, la cosa. Che è poi la questione dell’omofobia nel mondo del calcio, il quale è specchio in cui ci specchiamo fin troppo e in cui davvero troppo, soprattutto, si specchiano i giovani che mettiamo al mondo e poi mandiamo a scuola, dove poi trovano me, e mi fanno domande e magari mi dicono che certe cose devono assolutamente restare dentro il rettangolo di gioco, lo spogliatoio, si è sempre fatto così, ci mancherebbe ancora, punto.

 

Ecco, insomma, avete capito. Certe cose è invece giusto che escano in strada e diventino argomento di cui parliamo e magari anche occasione per farci un po’ cambiare idea, se ne abbiamo (idee) e se è il caso (di cambiarle). Per cui vi invito a leggere la storia del difensore del Chelsea (sì, parliamo davvero di calcio…) Graeme Le Saux, che io mi ricordo bene e che molti di voi miei coetanei probabilmente anche. L’ha raccontata splendidamente (come assai spesso gli succede, a onor del vero) Giovanni Fontana, sul Post; saggiamente iniziandola così:

 

Omofobia è una brutta parola, perché decide che l’unica fonte d’odio per gli omosessuali è la paura deliberata (-fobia). In realtà il disprezzo per gli omosessuali ha molte forme: la repulsione, l’odio diretto, l’ignoranza schietta, il conformismo che ride del diverso, e in generale un approccio acritico, che non si domanda davvero che bene o male possa fare un omosessuale, ma si affida a quello che ne pensa l’ambiente che si ha attorno. E l’ambiente è spesso maschilista, banale, ferocemente canonico.

Per questo è difficile ragionare su come sia giusto rapportarsi a Sarri, che è semplicemente il prodotto di una mentalità: Sarri, ovviamente e al contrario di come ho letto, non voleva offendere la comunità omosessuale, né voleva suggerire che Mancini fosse davvero omosessuale. Sarri appartiene a un ambiente, e più in generale una cultura, dove l’impiego della parola “frocio” è uno dei possibili insulti, e lo è perché è il contrario di essere “un vero uomo”, dove essere-un-vero-uomo è qualcosa di auspicabile.

E come si cambia un ambiente? Come si cambia una cultura? Molti fanno riferimento, anche in questo caso, al “modello inglese” – lo stesso Mancini ha detto che, in Inghilterra, Sarri verrebbe squalificato per due anni – ed è vero che nel calcio inglese c’è stata una rivoluzione di mentalità. A questa hanno contribuito più di tutto due storie: quella tragica di Justin Fashanu, e quella di Graeme Le Saux. Mentre la storia di Fashanu è stata spesso raccontata, quella di Le Saux è quasi del tutto sconosciuta, in Italia.

 

Quando l’avrete letta, mi direte se valeva o meno la pena di conoscerla; ma io, ve lo dico prima, penso proprio di sì. In più, siccome domani sarà il giorno della memoria ma io so già che non avrò il tempo per stare con calma un po’ a girare il web, vi lascio una breve quanto intensa (e pure inedita, se ho ben capito) intervista a Primo Levi, rilasciata nel lontano 1961, più di mezzo secolo fa. C’era già molto di quello che dovevamo ricordarci e che cercavamo di dimenticare. C’era anche questo:

 

«Può esistere – e in che misura – una “responsabilità collettiva” del popolo tedesco per il crimine del genocidio?»

 

La stessa espressione “colpa collettiva” è internamente contraddittoria, ed è di invenzione nazionalsocialistica. Ogni uomo è singolarmente responsabile del suo operato: colpevoli pienamente sono i tedeschi (e i non tedeschi) che hanno posto mano alle stragi; colpevoli parzialmente i loro complici, fra cui sarebbe ingiusto dimenticare gli illustri firmatari del Manifesto della Razza nostrano; colpevoli in minior misura, ma sempre spregevoli, i molti che hanno acconsentito sapendo, ed i moltissimi che hanno evitato di sapere per ipocrisia e pochezza d’animo.

Si delinea così un quadro ben diverso da quello, eroico, inventato dalla propaganda nazista: non di colpa collettiva, ma di vita collettiva, di mancanza collettiva di coraggio intellettuale, di insipienza collettiva, di collettiva rinuncia alla civiltà.

Davide Profumo
Davide Profumo
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1 Comment

  1. Davide Profumo ha detto:

    Aggiungo qui, su gradita segnalazione di un amico che ha grande confidenza con la scienza, il link a un altro post, che parla di chimica e anche di Primo Levi, con un taglio interessante per tutti ma in particolare per chi sia medico: http://www.nature.com/news/new-chemistry-revives-elementary-question-1.19145

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