L’antidoto c’è!
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In un mondo che va veloce, ciò che serve (ma non aiuta) è non perder tempo a pensare. Ecco pertanto l’affannosa ricerca di un indicatore universale, una spia che, accendendosi, ci dica se girare a destra o a sinistra, se fermarci o tirare dritti, se far pipì o pazientare ancora un po’.
Nel microcosmo cardiologico, a questo ruolo aspira la troponina: sempre più sensibile, coglie qualsiasi zoppia del cuore, anche un sobbalzo, un ridicolo inciampo. Ormai si riesce a calcolarne il 99° percentile, a dire che, tra gli splendenti di salute, la pecora nera (uno su cento) non ha più scampo.
In quest’ottica va letta l’ennesima analisi post hoc del BARI 2D (1), dove la troponina mostra i muscoli per scovare chi, tra i diabetici con malattia coronarica stabile, avrà un futuro meno roseo degli altri, nell’intento poi di aiutarlo a scegliere la cosa giusta per campare di più. Se guardiamo la tabella 1 del testo, troveremo che la positività della troponina riesce a marcare i pazienti peggiori, ovvero i più anziani, i diabetici di lunga data, quelli col cuore danneggiato e col rene sottosopra.
Le curve della figura divergono e ciò, viene da dire, è una bella sorpresa. Al dire dovrebbe però seguire il fare. Che, tradotto, significa: positiva si va di qui, negativa si va di là.
Ma qui comincia l’affanno, povera troponina.
Le curve della figura divergono, è vero, la troponina anche leggermente “mossa” fotografa il signor BARI 2D più sfortunato. Alla sfortuna va tuttavia posto rimedio, un rimedio che il marcatore, nonostante la sua emozionante sensibilità, non ce la fa a suggerire.
Non c’è infatti differenza significativa tra i troponina + e i troponina – nei termini operativi, nel distinguere chi merita la rivascolarizzazione e chi no. Qui, ahinoi, casca l’asino, e con lui i suoi pigri seguaci.
Comunque sia, il lavoro è ben fatto, e altrettanto interessante è il commento editoriale di Chiara Melloni (2), che intravede gli utilizzi futuri della troponina nel contesto della cardiopatia ischemica stabile. Certo è che la troponina non riesce a centrare il bersaglio: pur positiva, non ce la fa, da sola, a indicare la strada terapeutica da seguire. Conviene insomma fermarsi ancora a pensare, dando un’occhiata, una bella occhiata, al paziente, che tanto più sarà compromesso, tanta più troponina porterà con sé, anche se questo, per ora, rimane soltanto un distintivo all’occhiello.
Ohibò.
Bibliografia
- Everett B.M. et al. Troponin and cardiac events in stable ischemic heart disease and diabetes. N Engl J Med 2015;373:610-20.
- Melloni C. and Roe M.T. Cardiac troponina and risk stratification in ischemic heart disease. N Engl J Med 2015;373:672-74.