un’idea di noi
13 Giugno 2018Zitta zitta, quatta quatta: la rilevanza clinica della fibrillazione atriale silente
18 Giugno 2018Esiste ancora la necessità della critica e la questione del lavoro critico continua a comportare anche oggi il rischio intellettuale di “dire la verità”. Perché esiste la verità, ineludibile pur nel suo essere relativa, parziale e provvisoria (una verità che riguarda l’etica, l’esistenza, la nostra relazione con il mondo).
In una settimana in cui il web non ha offerto moltissimo dal punto di vista della letteratura, è giusto, a mio parere, che questo post di Emanuele Zinato (che non nasce come post, ma come relazione: e però noi siamo di bocca buona e ce lo prendiamo assai volentieri) si prenda meritatamente tutta la scena (quasi tutta la scena, come vedrete), perché parla di un argomento difficile e lo fa con sintetica efficacia e chiarezza. E dice, dopo le parole che già avete letto come incipit, anche questo:
… è il momento didattico, insomma, il luogo della sopravvivenza culturale per il critico odierno.
Che è una cosa (in tempi di festival letterari e di presentazioni di libri e di interviste doppie a scrittori e scrittrici e poi di kermesse letterarie di ogni genere e di incontri culturali e di librerie con il bar e il cappuccino e di letture in piazza e, contemporaneamente però, di libri che nessuno legge più, chissà come si spiegano le due cose contemporaneamente) questa è la cosa , secondo me, decisiva. E infatti, dice più avanti Zinato:
Tra i becchini della critica vi è l’ipertrofia del mercato culturale e la cultura unica del bestseller. Il mercato come virtuoso momento di incontro fra domanda e offerta è, come si sa, una pura astrazione dell’ideologia liberale … le case editrici, luoghi di progetto a cavallo fra mercato e cultura, sono da tempo geneticamente mutate: una volta acquistate da grandi gruppi internazionali, immense holding del campo dei media, dell’intrattenimento e dell’informazione, modificano radicalmente la propria natura.
E dunque, poco più avanti, Zinato non tralascia di incidere nel presente, nella didattica che si fa sul serio in classe, di fronte agli adolescenti che ti guardano o non ti guardano, che guardano fuori, che non sanno dove guardare. E dice così:
Non credo che, a scuola, il vero pericolo per la letteratura e per la critica sia dato ancora oggi dalle griglie strutturaliste applicate alla didattica ma casomai dall’erosione degli spazi dell’educazione umanistica a opera di discipline considerate dal senso comune più ‘spendibili’ e dalle iniziative extracurricolari più parcellizzate e servili (da ultimo, la più arrogante, l’alternanza scuola-lavoro). E, infine, dal completo disorientamento o ignoranza a scuola e nell’università davanti alle operazioni più semplici e necessarie: storicizzare l’opera nel suo tempo, descriverne le forme, interpretarne e attualizzarne il senso.
E quindi, come dovrebbe essere ovvio ma pare che non lo sia:
La critica come didattica, finché potrà farlo, dovrà dunque disubbidire alla buona scuola e all’università dell’eccellenza, e clandestinamente continuare a porsi il compito di rinegoziare la funzione della letteratura come «unità della percezione del reale e dell’ immagine del possibile»…
Ma non voglio annoiarvi così tanto e mi fermo qui. Perché mi rendo conto che il post (anche senza essere davvero un post) sia impegnativo e forse coltivo troppe personali pretese per questa ultima domenica di primavera. Vi lascio all’intero discorso, se vi va. Ma c’è un’altra cosa che volevo dire, oggi. Tutt’altro che piccola, in verità. L’ho trovata in uno di quegli angoli del web che vale sempre la pena di frequentare e che sono sempre assai più interessanti di tutto quel web che ci squaderna davanti se stesso senza pudore, tutti i giorni e a tutte le ore. E ci ho trovato, in questo angolo di web, una pagina di Vittorini che non ricordavo e che invece vale la pena di essere sempre ricordata. E con attenzione, a mio parere. È tratta da Uomini e no e comincia così:
Questo è il punto in cui sbagliamo. Noi presumiamo che sia nell’uomo soltanto quello che è sofferto, e che in noi è scontato. Aver fame. Questo diciamo che è nell’uomo. Aver freddo. E uscire dalla fame, lasciare indietro il freddo, respirare l’aria della terra, e averla, avere la terra, gli alberi, i fiumi, il grano, le città, vincere il lupo e guardare in faccia il mondo. Questo diciamo che è nell’uomo…
E prosegue nell’angolo in fondo, laggiù.