Soltanto pochi giorni fa, dopo aver rimandato troppe volte a causa della mia pigrizia, ho visto l’ultimo film di Matteo Garrone, quello che si intitola Dogman. E mentre lo guardavo, mi accorgevo che non stavo quasi badando alla storia: perché, lo capivo già durante la visione, era la bruttezza che mi colpiva più della storia, più della recitazione, più di ogni altra cosa.
Garrone infatti, come in altri suoi film (ma secondo me più ancora che in altri suoi film), ha saputo raccontare la storia e la geografia di un paese brutto, l’Italia, che dovrebbe essere il «bel paese». Lo ha fatto con una spietatezza che mi ha preso alla gola, lo ha fatto usando la bruttezza come sfondo perenne alla cattiveria e alla violenza, lo ha fatto dicendoci che un paese brutto, di case brutte, palazzi brutti e paesaggi brutti (come è il nostro paese, in troppi dei suoi angoli) non potrà che produrre storie brutte e uomini brutti.
Solo ogni tanto compare la bellezza: ci sono poche scene girate sott’acqua, nel mare, in mezzo ai pesci: lì il mondo ritorna a essere un bel posto, ma solo per un attimo. E poi tutto ritorna a esser brutto come prima, molto brutto (non disumano, si badi bene: proprio semplicemente brutto, nel senso più umano che questo aggettivo riesce ad avere).
E quindi mi fa piacere proporre oggi un articolo che parla della nostra incuria, a proposito della bellezza del cosiddetto bel paese e che, per farlo, prende spunto proprio dal film di Garrone, quello sull’uomo cane, dogman. Il post, che trovate per intero qui, dice così:
sarebbe troppo semplice dare la colpa del degrado a una misera questione di cash (anche perché molti dei fondi usati per opere di riqualifica – soprattutto in chiave ecologica – arrivano dall’Unione europea). Forse manca quindi la volontà? Che esista intrinseca nell’italiano – abituato alla tanta bellezza medioevale e rinascimentale dei suoi borghi e a quella naturalistica di Alpi-Appennini-spiagge-laghi – una quasi rivoltosa passione per il brutto, per quel degrado pasoliniano di baracche e lamiere? O che sia pigrizia fomentata dal telegiornalistico “Abbiamo ben altri guai, prima risolviamo le pensioni, il ‘problema’ immigrazione, le cavallette, poi all’estetica pensiamo dopo”? Prima gli italiani poi la riqualificazione degli edifici e dei quartieri dove vivono gli italiani?
Le risposte sono tante, ognuno ha la sua. Ma riuscirne a veder la bruttezza è, ogni tanto, un modo salutare di pensare al futuro del proprio paese.