letteratura e avorio
17 Gennaio 2019Incidenza di sanguinamenti maggiori nei pazienti in singola, duplice e triplice terapia antitrombotica. C’è del marcio in Danimarca?
21 Gennaio 2019Non voglio farmi dei nemici (anche se sono consapevole che è la cosa più agevole del mondo, farsene qualcuno), ma se mi chiedessero di citare il romanzo che secondo me ha raccontato meglio la porzione di tempo che mi è toccato di vivere (dalla metà degli anni Ottanta, diciamo, fino ad ora) io citerei Le particelle elementari di Michel Houellebecq. E lo farei con il tremore con cui si confessano le proprie debolezze ma anche con la sicurezza di chi sa di non avere alternative (se non minime: perché Estensione del dominio della lotta, nella sua acuta brevità, è forse anche più adatto all’uopo… ma è comunque sempre di Houellebecq, ci siamo capiti).
Anche per questo (per questa mia debolezza che non so se avevo mai confessato qui: ma arriva un’età della vita, dopo i 50 diciamo, in cui è bene cominciare a dire la verità…) ho esitato un po’ a parlare del nuovo romanzo di Houellebecq, che si intitola Serotonina e che ho letto con soddisfazione, nella settimana appena passata. E anche perché (ma qui è la mia vanità a parlare) non trovavo una recensione che mi convincesse davvero…
Tanto che avevo pensato, per non essere troppo apodittico e per nascondermi un po’, di usare questa specie di dialogo tra Matteo Fais e Davide Brullo, un ammiratore e un denigratore del romanziere francese, per offrire una duplice prospettiva del romanzo Serotonina, che avrebbe anche potuto essere utile a qualcuno…
Ma i 50 li ho in effetti superati, l’equidistanza è una delle forme della menzogna, meglio di no, ho pensato, c’è più onore in tradire che in essere fedeli a metà, mi sono detto. E dunque piuttosto, direttamente la recensione negativa di Davide Brullo, magari annotando che non sono affatto d’accordo con lui, ma usando la litote (che a Houellebecq è sempre piaciuta da morire), negando insomma io stesso la stroncatura, per dichiarare la mia colpevole passione. E il brano che avrei scelto avrebbe potuto essere questo:
Con Serotonina di Michel Houellebecq il fenomeno è conclamato. Lo scrittore che discende dalla grande tradizione dell’amarezza francese (miliardi antecedenti possibili, da Villon a Drieu La Rochelle) si colloca in pianta stabile nella posizione di Rocco Siffredi del bestellerismo. Vale a dire nella posizione di simbolo di inaccettabilità accettato da tutti, di vena oscura ma non troppo della cultura pop… Eppure ad Houellebecq arridono classifica e tweet entusiasti. Nemmeno fa più scalpore che abbia successo. Pochi notano che l’autore è rimasto fermo ai suoi romanzi dei decenni passati. Ma magari è quello il motivo del suo sdoganamento finale sulle banchine del pop planetario, il fatto che oltre che da depressivo è diventato noioso. Anche gli scorretti invecchiano.
Ma per fortuna (e anche perché non mi bastava una così vigliacca litote, concedetemi almeno questo) ho poi letto un’altra recensione, scritta da Carlo Mazza Galanti, e ho pensato che sì, questa era una lettura efficace, questa arrivava al punto, questa diceva quello che avrei voluto dire io. E cioè che abbiamo ancora bisogno di Houellebecq, anzi che ne abbiamo sempre di più, che ci sono cose che solo lui sa raccontare, che c’è un angolo doloroso e incomprensibile della nostra contemporanea esistenza a cui soltanto lui ha saputo dare una voce. E che assomigliano, questo angolo e questa voce, al nostro angolo di mondo e alla nostra voce, fin troppo dolorosamente, ci assomigliano.
E stavo quindi per linkare quest’ultima recensione, il post era fatto, finiva una riga fa, con una lunga e bella citazione di Galanti, questa: «Il principale nemico di Houellebecq, più che i tanti moralisti indignati (che anzi, se rigorosi potrebbero benissimo fiancheggiarlo), è colui che, imbozzolato in una rete anestetizzante capace di cancellare completamente l’orizzonte del proprio mondo, docile, acquiescente e supino, suppone di non dovere fare i conti con l’insensatezza, la morte, la malattia, la depressione, l’ingiustizia, e tutte gli altri piccoli dettagli sui quali insistentemente punta il dito lo scrittore (“mettete il dito sulla ferita, e schiacciate forte”, è la sua raccomandazione), così espletando una delle più antiche, sostanziali e transtoriche funzioni dell’arte». Perchè la recensione di Galanti è davvero la migliore che potete trovare in rete, a mio parere.
Ma poi ho letto quello che ha scritto Valentina Sturli e ho cambiato definitivamente idea. Perché mi è subito stato chiaro che è stata lei a dire, del nuovo libro di Hopuellebecq (e del perché mi sia di nuovo piaciuto così tanto), esattamente quello che avevo voglia che qualcuno dicesse, e nel modo esatto in cui avevo bisogno che qualcuno lo spiegasse e raccontasse. E dunque vi chiedo, se avete avuto la pazienza di scendere fin qui, di partire da lei, dalle considerazioni che porta e dalle conclusioni che trae, dalla sua brevità essenziale, dal suo puntuale riconoscimento della bellezza del libro. Si tratta in fondo dei motivi per cui non riesco a non avere un debole per Michel Houellebecq (e perdonate la litote). Magari lo avete anche voi, magari invece lo odiate, magari non avete mai letto nemmeno una riga di quello che ha scritto. Magari vi è venuto nel frattempo il desiderio di farlo. Potete partire da qui, in ogni caso. Mi pare che sia perfetto:
Se c’è stato uno scrittore che ha creduto nella potenza illimitata dell’umano nella sua forma più alta e migliore, quello scrittore è Michel Houellebecq.