Cànone è in critica letteraria l’elenco, la lista degli autori o dei libri ritenuti imprescindibili, è il modello ed è il paradigma. Cànone è insomma la traccia che forse non abbiamo ancora perduto. E a cànoni più o meno consapevoli ci rifacciamo costantemente, ogni volta che pensiamo alla letteratura come storia, ogni volta che pensiamo ai «maggiori» e ai «minori» (Gozzano è un minore? E Calvino è un maggiore? E Tabucchi cosa sarà? E Camilleri?); in fondo ogni volta che scegliamo un libro credendolo, per ragioni varie, una lettura migliore di altre.
Di cànone abbiamo dovuto parlare, in questi giorni, perché è morto Harold Bloom, che aveva fondato e promosso con la forza polemica del suo pensiero critico un’idea monolitica di canone occidentale (una sintesi efficace la trovate qui). E se volete il mio parere su quello che è stato il lavoro di Bloom (un critico letterario formidabile, davvero, in tante delle sue letture) non è un’opinione molto lusinghiera e coincide in sostanza con il breve articolo scritto oggi da Romano Luperini, che trovate qui.
Mi piace, come piccolo viatico funebre, riportarne alcune delle (terribili) ultime frasi:
È stato un grande critico e teorico reazionario, Bloom, dotato di una cultura immensa e di una capacità rara di penetrare i testi. Oggi la situazione è tale che la classe dominante non ha più bisogno di critici, neppure geniali come lo è stato talora Bloom. Anzi la sua opposizione al marxismo, al femminismo, alle letterature africane e asiatiche suona oggi del tutto superata. Che senso avrebbe oggi qualificare l’Occidente per la elevatezza del suo canone? L’Occidente si autoqualifica da solo ipostatizzando un unico valore, quello economico. Bloom, nella sua polemica contro la Scuola del Risentimento, aveva un ideale alto e nobile dell’arte letteraria che ormai è stato travolto da almeno tre o o quattro decenni. Oggi fa parte, esattamente come Gramsci, opposto a lui ma per questo in qualche modo a lui complementare, di un mondo sconfitto e perduto.
Ma di cànoni noi continuiamo ad avere bisogno, anzi sempre di più, di tracce da seguire, di sentieri. E ci agitiamo entro un labirinto di possibilità, una postmoderna biblioteca di Babele, che ci lascia interdetti, disorientati, senza bussole, con i calcoli dei dadi che non tornano («Ride il tranquillo despota che lo sa…»). E allora, anche se non posso convincermi che sia esattamente questa la soluzione, mi piace dare un po’ di spazio a quella che il sito «L’indiscreto», chiama la sua classifica di qualità dei libri del 2019. Ci hanno lavorato i critici, gli esperti, gli accademici e gli editor. Sono venuti fuori tre elenchi di libri (romanzi, saggi, raccolte di poesie: trovate tutto qui) che dovrebbero rappresentare il meglio di quanto possiamo leggere quest’anno, secondo loro, secondo chi ne sa più di noi. È un canone, è la possibilità di un canone, è una traccia, anche se sbiadita, è già qualcosa.