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La placca vulnerabile è nel nostro DNA?

A cura di Marta F. Brancati

 

De Boer SPM, Baran Y, Garcia-Garcia HM, et al. The European Collaborative Project on Inflammation and Vascular Wall Remodeling in Atherosclerosis – Intravascular Ultrasound (ATHEROREMO-IVUS) study. Eurointervention 2018;14:194-203.

 

Lo studio ATHEROREMO-IVUS è un interessante progetto europeo volto a valutare la possibile associazione fra determinati genotipi e i fenotipi di aterosclerosi coronarica, in particolare per quanto riguarda la placca vulnerabile valutata all’IVUS.

Si tratta di uno studio prospettico, osservazionale, che ha arruolato un totale di 846 pazienti con angina stabile o sindrome coronarica acuta, sottoposti a coronarografia; 581 pazienti sono stati reclutati a Rotterdam, 265 pazienti fanno parte dell’IBIS-2, uno studio con identici criteri di inclusione condotto in 23 centri di 10 Paesi europei. Prima dello studio angiografico sono stati effettuati i prelievi per l’analisi genetica. Durante la coronarografia, è stata eseguita una valutazione IVUS con istologia virtuale (VH-IVUS) su una coronaria non colpevole, con stenosi < 50%, per lo studio della morfologia della placca. È noto infatti che la presenza di placca vulnerabile su una coronaria non colpevole sia fortemente associata a eventi avversi a 1 anno; pertanto si tratta di un ottimo marcatore del “burden”, ovvero del “carico” di malattia dell’intero albero coronarico. L’endpoint primario era la presenza di una placca vulnerabile valutata al VH-IVUS. Il fenotipo di placca vulnerabile è stato definito in caso di fibroateroma, fibroateroma calcifico, fibroateroma con cappuccio sottile (TCFA) e TCFA calcifico. La placca fibrosa o fibrocalcifica è stata definita invece come benigna.

 

Sono state individuate alcune associazioni fra la placca vulnerabile e diverse regioni cromosomiali: 12 polimorfismi a singolo nucleotide (SNP, rs17300022, rs6904106, rs17177818, rs2248165, rs2477539, rs16865681, rs2396058, rs4753663, rs4082252, rs6932, rs12862206, rs6780676), all’interno o in prossimità di 8 differenti geni (GNA12, NMBR, SFMBT2, CUL3, SESN3, SLC22A25, EFBN2, SEC62).

 

È evidente come non si possa affermare con sicurezza una diretta relazione causale fra i polimorfismi segnalati e la placca vulnerabile. Lo studio però è originale, e suggerisce l’opportunità di ulteriori indagini in tal senso. Non si tratta di semplice curiosità scientifica: la conoscenza del genotipo di ciascun paziente può aiutare nella stratificazione del rischio e, nell’era della terapia genica, costituire un potenziale “target” terapeutico.

Marta F. Brancati
Marta F. Brancati
Dirigente medico di I livello, UO Emodinamica, Ospedale degli Infermi, ASL BI - Biella

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