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la mamma di hitler

Ricordo distintamente il titolo di un racconto di Jean-Paul Sartre che lessi quando ero ancora un adolescente e che mi colpì molto. Ricordo che mi colpì il racconto ma non ricordo assolutamente perché, né di cosa parlasse e nemmeno se mi piacque o non mi piacque. Ma ricordo quel titolo, L’infanzia di un capo, come se fosse un terribile ossimoro, un’associazione tra due concetti antitetici e spietatamente irriducibili.

 

Il racconto è contenuto nella raccolta Il muro, da cui lo lessi anch’io. Ma oggi, se dovessi scegliermi un libro per il fine settimana, sceglierei un altro libro, ben più voluminoso e forse più importante di quella vecchia raccolta di racconti. Sarebbe, credo, la lunga biografia di Hitler scritta da Ian Kershaw e uscita in Italia per Bompiani. Leggerne una recensione mi ha fatto venire in mente quel titolo di Sartre e anche la mia incredulità di allora a immaginarmi il giovane Adolf, ragazzino come me, cui la madre magari raccomandava, quando lui usciva di casa, di stare attento alle cattive compagnie.

 

Dopo la morte del padre, trascorre a Vienna insieme a un amico musicista un’esistenza da bohemien, tuttavia fallendo per due anni consecutivi l’esame di ingresso all’Accademia d’arte. La morte dell’amata madre lo scuote nel profondo, ma non modifica le sue abitudini, il suo disprezzo verso il lavoro paterno e verso il lavoro tout court.

Grazie all’eredità familiare e a una piccola rendita da orfano, Hitler vive nella capitale austriaca (percorsa da fremiti nazionalisti e antisemiti) senza l’obbligo del lavoro. Si sveglia tardi la mattina, frequenta i caffè, pontifica con il suo amico musicista Kubizek e con i (rari) conoscenti, soprattutto di musica: in particolare sulle opere di Wagner, di cui è un fanatico, ma anche sulla decadenza dell’arte moderna ch’egli dal suo privilegiato osservatorio viennese poteva osservare da vicino. In questa fase della sua vita, assai povera di rapporti umani e vieppiù sentimentali, la politica occupa un ruolo marginale e raramente i fluviali monologhi del giovane Adolf la riguardano. Nell’ultimo periodo a Vienna, consumata l’eredità paterna, vive poveramente, frequentando reietti e miserabili di tutte le risme, e passando le notti nei dormitori pubblici…

 

La recensione prosegue qui, ed è interessante. Il libro è questo (ma anche questo, che ci spiega il consenso popolare che Hitler ebbe, non è meno importante). Il fine settimana si annuncia mite nelle temperature e gradevole assai.

Davide Profumo
Davide Profumo
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