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la luce e il buio

Se avete tempo, se la pittura vi piace tanto quanto la poesia, se non siete come lo scrittore Franzen (a disagio davanti alla figura di Caravaggio, perché ha ucciso un essere umano), se vi è già capitato di rimanere imbambolati davanti ai quadri di San Luigi dei Francesi, se vi siete a volte chiesti da dove potessero venire quei fasci di luce bianca che attraversano i quadri del pittore Michelangelo Merisi come una ferita sulla superficie del reale, se anche solo vi piace leggere, allora vi consiglio caldamente di non perdervi uno splendido post che parla del pittore di origini lombarde che ha lasciato le sue tele dipinte di luce e di buio sparse per il Mediterraneo.

 

Ci troverete un’idea di pittura, un’idea di Carvaggio, ma anche un’idea di arte e un’idea di scrittura. Non poco per un solo post. Ma è una interpretazione di Caravaggio e del suo (nostro) mondo a cui fareste molto male a rinunciare, secondo me

 

In Caravaggio tutto è finzione per essere perfettamente reale. Caravaggio costruisce macchine per creare l’ombra e la luce che gli servono, mette in posa, in una posa più naturale possibile ma sempre posa, i proprio personaggi. Li tratta come oggetti: per lui non c’è una reale differenza tra la frutta del canestro in una natura morta e una prostituta morta che diventa la Vergine Maria. Quindi Caravaggio mi serve per produrre una riflessione sulla distanza che esiste tra ciò che vediamo e ciò che ha prodotto ciò che vediamo. È vero che quando guardiamo un quadro, così come quando leggiamo un libro, applichiamo quella sospensione della credulità, che ci fa pensare che quelle cose sono realmente accadute così come sono, mentre sono in realtà il frutto di una deliberata forma di costruzione. Il problema è che noi guardiamo a Caravaggio, dopo aver guardato gli impressionisti e Van Gogh: guardiamo i quadri di Caravaggio con quello sguardo lì, lo leggiamo con gli occhi del romanticismo e con la mistica del maledettismo: dell’arte che si genera dal tormento, che fa a meno di convenzioni, regole e rigidità. Guardiamo sostanzialmente male o con occhi mediamente abituati a una certa idea di creazione.

Uno dei motivi per cui ho scelto Caravaggio è proprio l’uso della luce. Se prendiamo appunto un quadro impressionista e un quadro di Michelangelo Merisi capiamo perfettamente quello che intendo. Al pittore impressionista interessa la riproduzione esatta della luce così come è. Avete presente le cattedrali di Rouen di Monet? Ecco io credo che quello sia veramente il fulcro dell’interesse dell’impressionismo: interessa la luce, interessa come la luce naturale produce fenomeni ottici nel concreto osservare di un medesimo soggetto. È l’esperienza visiva simile a quella che noi ogni giorno viviamo, quando passiamo davanti a qualche luogo e lo osserviamo cangiare a seconda del grado di luminosità che c’è. A me pare che a Caravaggio questa ‘evidenza’ non interessi più di tanto. Ovviamente è attratto, direi come tutti i pittori, dalla luce e dall’ombra, ma la luce e l’ombra a cui fa riferimento non sono naturali, non sono di questa terra, ma credo siano qualcosa di formalmente diverso.

Davide Profumo
Davide Profumo
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