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una distanza

È un nome, in verità, non molto di più, come accade a tutti i miti letterari, che costruiamo per averne nostalgia: un nome e il ricordo una città. Come Ulisse e Itaca, come Dante Alighieri e Firenze, così anche Bobi Bazlen e Trieste, il nome che ritorna così spesso nei libri del Duemila e la sua città, a cavallo tra tempi e mondi. Ma non è l’antichità greca, non è il Medioevo stilnovista, è semplicemente qualche decennio fa, nel Novecento, a pochi passi temporali da noi che ne sentiamo la distanza e ne abbiamo nostalgia.

 

Bobi Bazlen, intellettuale misterioso, scrittore senza aver scritto quasi nulla, che non smette di esser oggetto di ricerche e affabulazioni, non è in fondo altro che il suo stesso nome, e il nome di coloro che lo indagano, una figura cui affidiamo contorni leggendari per raccontarci (io credo) una nostalgia che non sappiamo altrimenti definire, che non sappiamo raccontare se non con i nomi che diamo alla nostra mancanza. Esattamente quello che accadeva a Ulisse che voleva tornare a Itaca, o a Dante che rimpiangeva una Firenze in cui mai più sarebbe tornato (e mi verrebbe da aggiungere anche la Venezia del Marco Polo di Italo Calvino, ma fingo di dimenticarla, perché non diventi tutto più complicato di come è già).

 

Ecco, ho letto oggi di questo nuovo libro sulla figura di Bobi Bazlen e mi è subito venuta in mente la nostalgia. Perché ricordo con quanta malinconia lessi qualche tempo fa Lo stadio di Wimbledon di Daniele Del Giudice, che parla dello stesso scrittore non scrittore, e perché ho letto queste parole scritte nella recensione, che raccontano di un uomo sempre all’inseguimento della sua città:

 

… le sue elevate doti intellettuali insieme alla tendenza al nomadismo e alla generosità, persino all’incapacità di provvedere alle cose materiali della vita quotidiana, sarebbero l’esito di nodi biografici irrisolti cui l’influenza della città di Trieste e del clima intellettuale che vi si respirava nei primi anni del Novecento avrebbero contribuito in modo determinante. Lo conferma Ljuba: “Poteva essere cresciuto soltanto qua. Era un fiore di questa città, e di quella particolare epoca di questa città” (Lo stadio di Wimbledon). Per Bazlen il rapporto con Trieste, nella quale aveva vissuto una gioventù allegra, rimase infatti un tabù irrisolto (vi nacque nel 1902 e nel 1937 l’abbandonò per non ritornarvi che in pochissime e brevi occasioni).

 

O forse perché avevo letto, poche ore prima, questo articolo un po’ misterioso (come sempre) ma molto suggestivo (come sempre) di Roberto Cotroneo e me ne erano rimaste in corpo le suggestioni, le immagini, certi passaggi che parlano esattamente dello stesso sentire una mancanza, della voglia inutile e frustrata di raccontarla:

 

La nostalgia riporta Ulisse a Itaca, ma è a Itaca che Ulisse vorrebbe raccontare le sue avventure per i mari e i confini della terra. Solo che a Itaca nessuno glielo chiede. Per vent’anni non aveva pensato che al ritorno. Ma quando fu di nuovo a casa capì, che l’essenza stessa della sua vita, il suo tesoro, era fuori da Itaca, nei vent’anni di vagabondaggio. E quel tesoro l’avrebbe recuperato solo raccontando. Ma nessuno chiede a Ulisse di raccontare.

 

Le strade e le città si incrociano, insomma: Trieste come Firenze come Itaca e come Venezia. Tutto sembra perdere contorni anche se magari li sta semplicemente cercando senza trovarli. Bobi Bazlen resta il nome che diamo a un’immagine che ci sfugge, qualcosa del nostro passato poetico e letterario che non ha ancora finito di dire quello che ci stava dicendo. È una sensazione senza certezze. Si sente spesso, questa irreparabile distanza del passato, nelle poesie di Montale, che di Bazlen fu grande amico e anche ammiratore, a suo modo. Ne pongo una in chiusura, come omaggio ad entrambi, per quel che vale. E come segno della mia inutile, personalissima, nostalgia.

 

Cigola la carrucola del pozzo,
l’acqua sale alla luce e vi si fonde.
Trema un ricordo nel ricolmo secchio,
nel puro cerchio un’immagine ride.
Accosto il volto a evanescenti labbri:
si deforma il passato, si fa vecchio,
appartiene ad un altro…
                                           Ah che già stride
la ruota, ti ridona all’atro fondo,
visione, una distanza ci divide.

Davide Profumo
Davide Profumo
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