Piccole eppure definitive scomparse
5 Aprile 2014“Futuri testicoli”
9 Aprile 2014La fotografia di questa breve lettera (che è autentica, e che vi invito a leggere prima di proseguire) ha fatto il giro dei social italiani, in quest’ultimo fine settimana. Tantissime persone l’hanno apprezzata, commentata e condivisa; tantissime persone che conosco e che stimo l’hanno, in qualche modo, virtualmente sottoscritta.
La lettera, però, è uno scherzo. O meglio, è la risposta ironica a un contratto-scherzo che Giulio Einaudi aveva inviato a Pavese pochi giorni prima e che prevedeva, tra gli emolumenti, anche 6 sigari “Roma”. Talmente scherzosa che pochi mesi dopo aver scritto questa lettera, nel 1942, Pavese firmò un contratto che lo legò alla Einaudi, “con mansioni di impiegato di concetto”, fino alla sua morte.
Le due lettere si trovano entrambe nell’edizione dell’epistolario di Cesare Pavese curata da Italo Calvino nel 1966, alle pagine 632-33: un libro bellissimo che io trovai da un rivenditore di testi usati e che, come molti libri bellissimi dei nostri grandi autori del Novecento, non si trova più in commercio (le ragioni le spiega qui il direttore di Mondadori Trade). Forse, ma non lo so, potrete ritrovare la lettera anche in questa più recente raccolta.
E però, a prescindere dai minuti riferimenti bibliografici, mi pare che il successo social di questa lettera-scherzo di oltre settanta anni fa, presa così sul serio, sia comunque molto interessante. Perché ci dice che nella letteratura (e nei letterati) tutti noi cerchiamo a volte un po’ di coraggio, uno scatto di orgoglio, magari addirittura la nostra giusta ira. Vogliamo trovarla in loro, nelle loro parole, e crediamo subito di averla trovata, anche quando non è vero. E io non so se questo ci esima poi dal cercarla davvero in noi stessi, quell’ira, quel grido di rivolta, quel No pronunciato ad alta voce; non so quanto sia in fin dei conti assolutorio, questo nostro atteggiamento.
Quello che so e che mi sento di dire, dopo lunga e dolorosa frequentazione di libri e di poesie, è che la letteratura (e i letterati) non sono così. E non sostituiranno mai il nostro scatto di ira, le lettere che non sappiamo più scrivere, le biciclette che non sappiamo più inforcare. E che, per usare le parole di un altro poeta del Novecento che nessuno sta più stampando, il letterato:
non ha nessuna carta miracolosa
…
è uno appena come me,
al massimo col vantaggio che recita
tutta vera la sua paura.