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la buona notizia

Che negli ultimi tre giorni Leonard Cohen sia stato al centro di due tra i più interessanti post del web, a me pare già di per sé una buona notizia (sono passati quasi due anni dal giorno della sua morte, e continuiamo, anche in quest’angolo di Europa così evidentemente periferico, a parlare di lui: è questa la mia buona notizia). Ma una notizia ancora migliore è probabilmente quella per cui di Leonard Cohen si prova ad indagare il cosiddetto «spazio letterario», la possibilità insomma che il suo lavoro sia anche letteratura, che possa appartenere in qualche modo a quello stesso campo di forze al quale, senza esitazione, ascriviamo Umberto Eco e David Foster Wallace.

 

Lo prova a dire oggi una voce sulla rivista Pangea, la quale peraltro esordisce così:

 

Di una canzone conquista il suono: l’orecchio, sensibilizzato, porta parole&musica alla mente, poi al cuore. Un rigurgito sentimentale ci porta ad ascoltare, per ore, la stessa canzone, rimembrando l’evento che fu, rimbambendoci in brume nostalgiche. Al contrario, la parola fissa su carta inchioda la mente, non ammette svincoli emotivi. Si contorce dentro di noi, roveto infuocato, smacchia le nostre certezze, impaurisce, impone purezze mai viste. La poesia non è ‘orecchiabile’, la canzone deve esserlo.

 

Per arrivare poi a concludere così:

 

Nell’era in cui la poesia è del tutto dileggiata, oltraggiata, mortificata, il ruolo di ‘poeta’ conserva qualcosa di anarchico, di aristocratico. La parola poetica, in effetti, proprio perché sfugge alle consuete norme della comprensione resiste aristocratica, alta – anche se proviene dagli inferi, dai tombini e dalle tombe. Forse la poesia è la sola cosa aristocratica nel tempo in cui tutto è prezzato…

 

Ma meglio ancora è quello che scrive Liborio Conca a proposito di un libro che Silvia Albertazzi ha dedicato alla figura «letteraria» di Cohen. Perché è da questo libro che potrebbe emergere con lucida chiarezza la continuità tra canzone e poesia, tra la letteratura che Cohen voleva fare e quella che poi, in effetti, fece. Lo si può leggere qui:

 

Studiando da poeta non si dimentica di esserlo, anche imbracciando una chitarra e ben sapendo che nella forma-canzone esistono molti aspetti varianti rispetto a una poesia destinata a rimanere su una pagina scritta. Se sei stato folgorato da Federico García Lorca, autentico spirito guida dall’età di quindici anni, scriverai e canterai un pezzo come Take This Waltz, la versione coheniana di Pequeño vals Vienés. E ancora in Ten New Songs, l’album scritto alle soglie dei settant’anni, ci sarà spazio per Alexandra Leaving, ispirata a The God Abandons Antony, poesia di Costantinos Kavafis.

 

Io spero davvero che sia così, lo spero da molti anni, da quando ero ragazzo e ascoltavo le canzoni dei cosiddetti cantautori, lo spero anche se a volte ne dispero, ma continuamente spero che sia come questi articoli dicono, come i testi di Leonard Cohen lasciano (a tratti) supporre: che ci sia continuità tra poesia e canzone, che ci siano energie in comune, forze che agiscono su entrambi i campi e che sono le stesse medesime, identiche forze. Sarebbe questa, se confermata (ma chissà quando e da chi), la buona notizia.

Davide Profumo
Davide Profumo
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