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La bivalirudina vince il confronto con l’eparina nei pazienti con STEMI sottoposti a PCI primaria: i risultati dello studio BRIGHT-4 presentati al Congresso #AHA 2022

A cura di Felice Gragnano, Vincenzo De Sio, Paolo Calabrò

 

Nella maggior parte dei laboratori di emodinamica di tutto il mondo, l’utilizzo della bivalirudina in pazienti con STEMI trattati con angioplastica coronarica (PCI) primaria è stato di fatto abbandonato sulla base di numerosi studi clinici che non hanno mostrato chiari vantaggi per questo anticoagulante rispetto al trattamento standard con eparina. Alla luce dei nuovi dati emersi dallo studio BRIGHT-4, questo approccio potrebbe però cambiare.

Lo studio BRIGHT-4 è un trial clinico condotto in Cina su circa 6000 pazienti. Lo studio dimostra come nei pazienti con STEMI sottoposti a PCI primaria (quasi sempre tramite acceso radiale), una strategia con bivalirudina in bolo + infusione di 2-4 ore riduce la mortalità per tutte le cause e i sanguinamenti maggiori a 30 giorni rispetto alla terapia con eparina, con una riduzione relativa del rischio pari al 25% e una riduzione assoluta dell’1.3%.

Se questi risultati siano sufficienti a determinare un cambio di paradigma nell’anticoagulazione in corso di PCI primaria, dopo quasi due decadi di dominio dell’eparina, rimane un interrogativo.

Gli studi precedenti al BRIGHT-4 sono spesso stati caratterizzati dalla presenza di alcuni possibili fattori in grado di “confondere” i risultati. In particolare, questi studi includevano sia pazienti con STEMI che con NSTEMI, prevedevano l’uso di regimi di bivalirudina eterogenei (ad es. bolo senza infusione o con infusione a basse dosi o alte dosi di farmaco) o di eparina associata a inibitori della glicoproteina IIb/IIIa. Per tali motivi, questi trial non hanno consentito una chiara valutazione dei rischi e benefici dei due regimi terapeutici nei pazienti con STEMI sottoposti a PCI primaria. Il disegno dello studio BRIGHT-4 consente invece un confronto diretto ed equo tra queste due strategie.

Lo studio ha mostrato una netta superiorità della bivalirudina rispetto all’eparina, ma tali benefici vanno analizzati alla luce di possibili limitazioni legate ai costi e alla gestione più complessa del farmaco (ad es. la necessità di infusione post-PCI), che potrebbero comunque limitarne la diffusione nonostante i nuovi dati a disposizione.

 

 

Lo studio BRIGHT-4 nel dettaglio

 

Il BRIGHT-4 è un trial clinico multicentrico, investigator-initiated, open-label, condotto in 87 centri in Cina (ClinicalTrials.gov: NCT03822975). Lo studio ha arruolato complessivamente 6016 pazienti con infarto miocardico acuto tipo STEMI sottoposti PCI primaria prevalentemente per via radiale (93%). I pazienti sono stati randomizzati a un gruppo che riceveva bivalirudina (bolo + infusione ad alte dosi per 3 h) e un gruppo di controllo che riceveva eparina. L’utilizzo degli inibitori della glicoproteina IIb/IIIa era riservato, in entrambi i gruppi, ai pazienti con complicanze trombotiche peri-procedurali (bail out).

 

 

L’endpoint primario dello studio era un endpoint composito di morte per tutte le cause e sanguinamenti maggiori (definiti come sanguinamenti di tipo 3-5 secondo la classificazione BARC) a 30 giorni.

 

 

A un follow-up di 30 giorni, si sono verificati 92 eventi dell’endpoint primario nei pazienti trattati con bivalirudina rispetto ai 132 eventi registrati nel gruppo trattato con eparina (hazard ratio [HR]: 0.69; 95% CI: 0.53-0.91). Le morti per tutte le cause a 30 giorni erano significativamente ridotte con bivalirudina rispetto a eparina (HR: 0.75; 95% CI: 0.57-0.99), così come risultavano ridotti i sanguinamenti BARC 3-5 (HR: 0.21; 95% CI: 0.08-0.54).

 

 

È importante notare inoltre come, a 1 mese di follow-up, si siano verificate 11 trombosi di stent nel gruppo che assumeva bivalirudina rispetto alle 22 registrate nei pazienti con eparina.

 

Alla luce di queste nuove evidenze, la bivalirudina dovrebbe ritornare a essere disponibile in tutti i laboratori di emodinamica e potrebbe rappresentare il nuovo standard terapeutico nei pazienti con STEMI sottoposti a PCI primaria. La differenza assoluta in termini di mortalità dimostrata tra i due gruppi di studio (≈1%) è rilevante, essendo di entità analoga a quella registrata nei trial che hanno confrontato in pazienti con STEMI il trattamento con attivatore tissutale del plasminogeno (TPA) versus streptokinasi, e non differisce molto da quella osservata nei trial di confronto TPA versus PCI primaria.

Attualmente, sono disponibili in commercio dei farmaci bioequivalenti della bivalirudina che hanno un costo relativamente contenuto e non molto superiore a quello dell’eparina, il che dovrebbe permettere una più ampia diffusione del farmaco.

Tra le possibili limitazioni dello studio BRIGHT-4, va sicuramente considerato il fatto che lo studio è stato condotto esclusivamente in Cina. Per tale motivo, la generalizzabilità dei risultati nei paesi Europei e negli Stati Uniti rimane da chiarire.

In conclusione, lo studio BRIGHT-4 rappresenta un possibile punto di svolta nell’anticoagulazione dei pazienti con STEMI da cui ripartire. La bivalirudina potrebbe avere un ruolo di rilievo nei laboratori di emodinamica di tutto il mondo alla luce dei risultati del trial. Una delle sfide più importanti riguarderà l’impatto che questi risultati avranno sulle linee guida future e sulla nostra pratica clinica.

Lo studio clinico, presentato al congresso #AHA 2022, è stato pubblicato simultaneamente sulla rivista The Lancet.

 

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