non così ovvio
9 Giugno 2016prima di una fine
12 Giugno 2016Nato a Cincinnati, nello stato dell’Ohio, dopo gli studi di fisica, con relativo dottorato presso l’università di Harvard, si interessò alla storia della scienza.
Esordì come saggista nel 1957, scrivendo una monografia sulla nascita dell’astronomia moderna: La rivoluzione copernicana. Un lavoro dotato di grande lucidità e qualità espositiva. In questo libro, tra le tante, Kuhn articolò una lucida definizione di quella che riteneva potesse essere definita come scienza normale. Un’etichetta concettuale che era in uso presso la comunità scientifica per fare affidamento su di un denominatore comune di conoscenza. La scienza normale consisteva in un insieme di acquisizioni certe alle quali una comunità scientifica, per un tempo determinato, avrebbe riconosciuto la proprietà di costituire un fondamento di ulteriori ricerche.
Nel 1962 Thomas Kuhn pubblicò La struttura delle rivoluzioni scientifiche, un’opera che in pochi anni lo renderà famoso in tutto il mondo filosofico e scientifico. Insegnò lungamente ad Harvard storia della scienza e filosofia della scienza, per passare in seguito a Berkeley, dove conobbe Paul Feyerabend, con il quale iniziò un confronto dialettico e speculativo che durerà per tutta la vita.
Fu professore a Princeton e presso il prestigioso MIT di Boston. Morì nel 1996.
Secondo Kuhn, le grandi rivoluzioni scientifiche che avevano segnato i diversi momenti della storia della scienza non andavano considerate come delle confutazioni di ipotesi fino a quel momento accettate. Si trattava invece di complessi mutamenti degli orientamenti teorici, delle credenze anche di tipo metafisico e delle procedure sperimentali che avevano caratterizzato una data comunità scientifica. L’insieme di tali orientamenti fu da lui definito con la parola paradigma.
Le rivoluzioni scientifiche erano connotate dal passaggio da un paradigma all’altro, come era avvenuto per il sistema tolemaico, che aveva visto la Terra come centro dell’Universo, in contrasto con quello copernicano che aveva affermato la centralità nel creato del Sole, mentre tutti gli altri pianeti, Terra compresa, avrebbero disegnato le loro orbite intorno alla stella. La prevalenza di un dato paradigma segnava una fase di scienza normale, in cui gli scienziati erano impegnati nella soluzione di problemi che potevano essere formulati e risolti attraverso le credenze e gli strumenti propri del paradigma nel cui ambito lavoravano, senza mettere in discussione le verità di fondo.
Contrariamente a quanto riteneva Karl Popper, il filosofo americano sosteneva che gli scienziati non operassero mai per mettere in crisi le teorie in cui credevano, bensì nella convinzione che all’interno di esse si potesse trovare la soluzione a tutti i problemi che potevano emergere durante il loro lavoro e di cui cercavano di fornire una soluzione.
La ricerca svolta all’interno di un paradigma poteva imbattersi in anomalie, ovvero in problemi che non apparivano risolvibili all’interno del paradigma stesso e che si presentavano come una violazione delle aspettative alimentate. Il riconoscimento di un’anomalia non era tuttavia sufficiente di per sé a provocare una rivoluzione scientifica. Dava però luogo ad una situazione di crisi, in conseguenza della quale la comunità scientifica cercava di negare o di ridimensionare il problema, sforzandosi di introdurre degli aggiustamenti nel paradigma in modo da stabilizzarlo e da neutralizzare l’effetto dell’inconveniente.
L’accumularsi di anomalie che non riuscivano a trovare soluzione all’interno del paradigma dominante apriva un periodo di cambiamento definito come scienza straordinaria e rivoluzionaria, caratterizzato dall’elaborazione di nuovi concetti e dalla ricerca di nuove ipotesi sperimentali. Uno stato che sfociava infine in una rivoluzione scientifica vera e propria, contraddistinta dall’adozione di un nuovo paradigma che si sostituiva al precedente.
In ogni caso un paradigma non veniva mai abbandonato di colpo, per quanto inadeguato esso potesse rivelarsi e per quanto fosse stato compromesso da molte anomalie. Rimaneva in vigore finché non ne fosse emerso uno nuovo che poteva sostituirsi al vecchio. La decisione di abbandonare un paradigma costituiva così al tempo stesso la decisione di accettarne un altro e promuoveva la nascita di una nuova comunità scientifica, la quale non era in grado di comunicare adeguatamente con la vecchia. I costituenti teorici adottati non erano in accordo con quelli precedenti e adoperavano un linguaggio sostanzialmente diverso. I nuovi concetti che venivano espressi, anche se talvolta si servivano degli stessi termini adoperati in passato, attribuivano a questi un significato differente. Il passaggio da un paradigma all’altro era quindi un mutamento che non consentiva la compresenza di altri. Come materia ed antimateria essi si negavano a vicenda.
Questo mutamento di prospettiva era paragonabile al processo di diverso orientamento comportamentale e visivo di un osservatore, come era stato proposto dalla scuola psicologica della Gestalt.
Per questa corrente della psicologia un individuo, intenzionato a comprendere la realtà che lo circondava, tenderebbe a identificarvi delle forme visive familiari secondo schemi scelti tra i tanti possibili, in base all’imitazione, all’apprendimento e alla condivisione di determinate credenze sociali. Attraverso processi di questo tipo si organizzerebbero la percezione umana, il pensiero e la sensazione. A volte le immagini potevano essere interpretate come portatrici di un duplice significato. In un celebre disegno un coniglietto diveniva una papera a seconda del diverso punto di osservazione dell’illustrazione.
Una caratteristica di questo passaggio interpretativo era costituita dall’incompatibilità delle due immagini alternative. Vale a dire che quando se ne notava un significato non si poteva vedere l’altro e viceversa. Non esisteva dunque una fase intermedia in cui le due visioni fossero compresenti nell’interpretazione del soggetto, come avveniva tra due paradigmi scientifici, quello vecchio e quello nuovo, che non avrebbero potuto in nessun caso coesistere.
L’originalità del pensiero di Thomas Kuhn consisteva nell’aver rivelato la complessità del terreno di ricerca sociale e storico in cui si muoveva uno scienziato e come le sue azioni e scoperte fossero in buona parte generate dal contesto antropologico e culturale in cui egli si era trovato a vivere.