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Ischemia-CKD trial

A cura di Claudio Cuccia

 

In parallelo all’Ischemia trial,1 sono stati indagati, con un simile approccio, i pazienti con analoghe caratteristiche cliniche, ma con grave insufficienza renale (FGR<30 ml/min o in dialisi): si è trattato di 777 pazienti, giunti da 118 centri di 30 diverse nazioni, arruolati dall’aprile 2014 al gennaio 2018.2

La principale, e ragionevole, differenza nell’arruolamento rispetto al trial ‘padre’ sta nel non aver sottoposto i pazienti a CT angiography per confermare la malattia coronarica ostruttiva e per escludere una malattia grave del TC, nel rispetto della malandata funzione renale. Gli altri criteri di esclusione differivano di pochissimo rispetto al trial principale, come facilmente deducibile dalla tabella S4 della Supplementary Appendix.

 

Anche nell’Ischemia-CKD i pazienti venivano randomizzati, in un rapporto di 1:1, a terapia invasiva (terapia medica ottimale + angiografia + rivascolarizzazione quando necessaria e fattibile, ed entro 30 giorni) oppure a terapia conservativa, con angiografia solo nel caso di insuccesso della terapia medica. I controlli clinici venivano fatti a 1.5, 3, 6 e12 mesi, quindi ogni 6 mesi, per un follow-up mediano di 2.2 anni.

 

L’età media dei pazienti era di 63 anni, il 57% aveva diabete e il 54% era in dialisi. Il valore mediano del filtrato glomerulare era di 27 ml/min.

 

L’end-point primario fu un composito di morte cardiovascolare e infarto miocardico (rispetto al trial principale, quindi, non si sono considerati l’ospedalizzazione per angina instabile, lo scompenso cardiaco e il recupero da arresto cardiaco).

 

L’end-point secondario fu un composito di morte cardiovascolare, infarto non fatale, o ospedalizzazione per angina instabile, scompenso, o recupero da arresto cardiaco.

 

L’outcome di sicurezza fu l’inizio di dialisi e un composito di nuova dialisi o di morte.

 

L’85% dei pazienti inviati alla strategia invasiva fece una coronarografia e solo il 50% fu sottoposto a rivascolarizzazione (85% PCI, 15% CABG), soprattutto per la frequente assenza della malattia coronarica ostruttiva, assenza riscontrata in un quarto dei pazienti indagati, nonostante avessero una ‘dimostrazione’ di ischemica moderata o severa.

Nei pazienti arruolati alla terapia conservativa, il 31.6% fece una coronarografia e il 19.6% fu poi sottoposto a rivascolarizzazione miocardica.

Furono rigorosi i criteri di ‘protezione renale’, come dettagliatamente riportato nelle pagine 35 e 36 della Supplementary Appendix.

 

Risultati

La prima slide riporta gli outcome compositi raggiunti, primari e secondari, mentre la seconda descrive la mortalità, l’infarto e le ospedalizzazioni osservate e, come ben appare, non si sono notate differenze tra le strategie. L’incidenza stimata a 3 anni degli eventi primari è stata del 36.4% nel braccio invasivo e 36.7% in quello conservativo.

Rispetto alla strategia conservativa, nell’invasiva si sono però registrate una maggiore incidenza di stroke (HR 3.76; 95% CI, 1.52-9.32; P=0.004) e di morte o inizio di una nuova dialisi (HR 1.48; 95% CI, 1.04-2.11; P=0.03).

 

 

 

Che dire, in conclusione?

Con tutte le limitazioni che un trial complesso come l’Ischemia-CKD comporta, a partire dall’esclusione dei pazienti particolarmente sintomatici o con scadente funzione di pompa, valgono qui le conclusioni che abbiamo tratto per il trial principale: se la funzione renale è compromessa e la malattia coronarica è ‘stabile’, si dovrà riflettere comunque a lungo prima di sottoporre un paziente alla coronarografia, visti i rischi cui la metodica lo esporrà e i benefici che ne potremmo trarre. La conclusione è avvalorata da quanto affermano, in modo ben più esplicito, Braunwald e Antman nell’editoriale all’Ischemia trial,3 che ha offerto uno sguardo anche all’Ischemia-CKD:

 

«Among patients with stable ischemic heart disease who have advanced chronic kidney disease, the risk of clinical events is more than three times as high as the risk among those without chronic kidney disease, but an initial invasive strategy does not appear to reduce event rates or relieve angina symptoms for these patients. Therefore, patients with stable ischemic heart disease and chronic kidney disease can usually be treated with a conservative strategy

 

 

«È men male l’agitarsi nel dubbio, che il riposar nell’errore.»

Alessandro Manzoni, Storia della colonna infame

 

 

Bibliografia

  1. Maron DJ, Hochman JS, Reynolds HR, et al. Initial invasive or conservative strategy for stable coronary disease. N Engl J Med 2020; 382:1395-407.
  2. Bangalore S, Maron DJ, O’Brien SM, et al. Management of coronary disease in patients with advanced kidney disease. N Engl J Med 2020 DOI: 10.1056/NEJMoa1915925.
  3. Antman Elliot and Eugene Braunwald. Managing stable ischemic heart disease. N Engl J Med 2020;382:1468-1470.

 

Claudio Cuccia
Claudio Cuccia
Webmaster. Direttore del dipartimento cardiovascolare, Fondazione Poliambulanza Istituto Ospedaliero, Brescia

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