L’ipocrisia di tutti
16 Novembre 2014Una nitida parzialità
20 Novembre 2014Più passa il tempo e più mi passano i libri (ma si legge così, in realtà: più invecchio) e più mi pare che non leggere i classici sia triste; e che se si può vivere benissimo senza aver letto l’ultimo best seller o il penultimo premio Nobel o il terzultimo libro presentato con clamore in tv, sia un vero peccato farlo senza conoscere i classici russi o i grandi romanzi francesi del secolo scorso o addirittura i fondativi poemi epici greci e latini di molti secoli fa. So che è vecchiaia (l’ho detto fin dall’inizio…) e quindi non me ne vanto moltissimo e non voglio nemmeno convincere quelli di voi che stanno invecchiando meglio di me.
Ma oggi ho trovato un piccolo e preziosissimo post in cui mettono insieme due personaggi davvero “classici” della letteratura occidentale (e che io ho amato tantissimo, molto tempo fa) e ho pensato che sì, valeva la pena che un consiglio di lettura potesse, per una volta, riguardare due romanzi da noi così lontani eppure indimenticati. I personaggi sono il capitano Achab e Anna Karenina; e i romanzi sono quindi quello di Melville e quello di Tolstoj. Chi li ha letti entrambi si godrà il post come meglio è possibile; ma esso (il post) piacerà senz’altro anche a chi ne ha letto soltanto uno dei due; e, infine, forse a chi non ne ha letto nessuno dei due, grazie al post, verrà voglia di farlo. E magari storcerà meno la bocca davanti a chi, come me, invecchiando male, comincia a pensare che solo i classici valgano il tempo e lo sforzo fisico che si impiegano a girare una pagina.
Il post su Anna e su Achab vanta questo bell’incipit:
Potrebbe davvero sembrare che Anna Karenina e il capitano Achab non abbiano nulla in comune, se non le lettere iniziali dei loro nomi. Cosa c’entra un vecchio storpio ossessionato da una balena bianca con una fascinosa adultera dallo strano rapporto con la rete ferroviaria? Presumibilmente Achab non l’aveva nemmeno mai visto un treno.
E in effetti il brodo di Tolstoj era tutto diverso da quello di Melville: se uno viene dall’alta società della Russia zarista, pregiudiziosa e opprimente come l’impero di cui fa parte, l’altro è ancora fresco degli ideali di un’America giovane, che trova nella sua stessa ragion d’essere la democrazia e paventa l’eccessivo individualismo in nome del bene comune. Mondi diversi, non c’è dubbio, ma che condannano allo stesso modo chi deborda oltre i confini delle loro regole; questo perché qualsiasi collettività, in ogni tempo e in ogni spazio, si basa su criteri pratici e razionali di funzionamento.
[E poi, anche se in apparenza non c’entra nulla (ma è solo apparenza, c’entra eccome), volevo anche dirvi che quando Claudio Giunta scrive qualcosa a proposito della scuola italiana mi pare che sia praticamente impossibile dargli torto. O almeno io non ci riesco, nemmeno questa volta.]
[E ancora, malgrado di nuovo vi possa parere del tutto inappropriato al tema (ma non lo è, vi chiedo di nuovo di essere indulgenti) volevo aggiungere che l’ultimo film di Clint Eastwood, che ho appena visto in dvd, è leggero e meraviglioso come sanno essere solo i classici, infatti.]