Il prasugrel nei pazienti con SCA: i risultati dello studio TRITON TIMI 38
M. Tubaro
Ospedale S. Filippo Neri, Roma
Roma, 23 dicembre 2007
TRITON – TIMI 38
Lo studio TRITON-TIMI 38 ha confrontato un nuovo farmaco antiaggregante piastrinico tienopiridinico, il prasugrel, con il farmaco di riferimento della classe, il clopidogrel, nei pazienti con sindrome coronarica acuta (angina instabile o NSTEMI), a rischio moderato o elevato, sottoposti a coronarografia (CORO) e candidati a intervento coronarico percutaneo (PCI).
Il prasugrel è un pro-farmaco, come peraltro il clopidogrel e viene convertito a metabolita attivo prima di legarsi al recettore piastrinico P2Y12; l’azione antiaggregante del prasugrel è più rapida, intensa e consistente rispetto a quella del clopidogrel, quest’ultimo sia a dosi standard sia aumentate. Questa diversità di effetto è legata alla maggiore efficacia con la quale il prasugrel genera il proprio metabolita attivo che, di per sé, presenta la stessa potenza in vitro di quello del clopidogrel.
Lo studio, randomizzato, controllato e in doppio cieco, ha arruolato 13.608 pazienti con NSTEACS (entro 72 ore dall’esordio dei sintomi) o STEMI (entro 12 ore dall’esordio dei sintomi se trattati con PCI primaria o entro 14 giorni se trattati con terapia farmacologica). I criteri di inclusione erano quelli diagnostici usuali per NSTEACS e STEMI, con l’aggiunta, per le NSTEACS, di un TIMI Risk Score > 3; Tra i criteri di e-sclusione principali vi erano un trattamento precedente con tienopiridinici negli ultimi 5 giorni prima dell’arruolamento e quello con farmaci fibrinolitici (nelle ultime 24 ore per quelli fibrino-specifici e nelle ul-time 48 ore per quelli non fibrino-specifici).
Una caratteristica peculiare dello studio, sulla quale si ritornerà in seguito, era che la randomizzazione e la conseguente somministrazione della dose di carico del farmaco avvenivano solo dopo la coronarogra-fia e l’indicazione alla PCI ( e fino a 1 ora dopo il completamento della procedura interventistica); solo nei pazienti con anatomia coronarica nota e indicazione alla PCI, la dose di carico poteva essere sommini-strata nelle 24 ore precedenti la procedura. La dose di prasugrel è stata di 60 come carico e di 10 mg/die come mantenimento, mentre quella di clopidogrel sono state, rispettivamente, di 300 e 75 mg.
L’end-point primario composito dello studio era costituito da morte cardiovascolare (CV), infarto miocar-dico (IM) non fatale e ictus non fatale. Gli end-point principali di sicurezza erano le emorragie maggiori secondo TIMI, quelle maggiori insieme alle minori e quelle pericolose per la vita. E’ stata calcolata una numerosità necessaria del campione di 13.000 pazienti (9500 con NSTEACS e 3500 con STEMI).
Lo studio ha arruolato 13608 pazienti (10074 con NSTEACS e 3534 con STEMI), con un tempo mediano di terapia di 14.5 mesi. Il 99% dei pazienti è stato sottoposto a PCI, il 94% ha ricevuto almeno uno stent e il 47% almeno 1 stent medicato (DES).
I risultati dello studio in termini di efficacia sono illustrati nella tabella 1.
L’end-point clinico primario veniva dunque ridotto in misura statisticamente significativa dal prasugrel, con un effetto trainato soprattutto dalla riduzione dell’infarto miocardico non fatale; la rivascolarizzazione urgente del vaso responsabile (uTVR) era anch’ essa ridotta con il prasugrel, che inoltre praticamente dimezzava l’incidenza di trombosi dello stent.
I risultati principali dello studio in termini di sicurezza sono illustrati nella tabella 2
E’ evidente come la maggiore efficacia del prasugrel, rispetto al clopidogrel, in termini di IPA sia indisso-lubilmente legata a una maggiore incidenza di emorragie maggiori, con un incremento particolarmente evidente delle emorragie fatali e di quelle legate alla procedura di BPAC. Questo effetto sfavorevole non era atteso stante i risultati dello studio di fase 2 JUMBO-TIMI 26, che aveva confrontato tre diversi do-saggi di prasugrel con la dose standard di clopidogrel: l’end-point clinico primario a 30 giorni di emorra-gie significative (TIMI maggiori + minori) non relative a BPAC non era stato significativamente diverso per il prasugrel (1.7%) e il clopidogrel (1.2%).
Come in molti altri studi, veniva preso in considerazione dagli investigatori il beneficio clinico netto, cioè la combinazione di end-point primario di efficacia (ma con la mortalità totale al posto di quella cardiova-scolare) e di sicurezza (le emorragie maggiori secondo TIMI non relative a BPAC). In un singolo sotto-gruppo di pazienti, il trattamento con prasugrel si è dimostrato peggiore di quello con clopidogrel: nei pa-zienti con pregressi eventi cerebro-vascolari l’ HR per il beneficio clinico netto era di 1.54 (95% CI 1.02-2.32). In due sottogruppi di pazienti non si osservava un beneficio clinico netto con il prasugrel: i pazienti > 75 anni (HR 0.99, 95% CI 0.81-1.21) e quelli con peso < 60 kg (HR 1.03, 95% CI 0.69-1.53). Nei pa-zienti senza questi tre fattori di rischio, il beneficio clinico netto era chiaramente in favore del prasugrel (HR 0.80, 95% CI 0.71-0.89), in particolare nei pazienti con diabete (12.2 vs 17%, HR 0.70), nei quali, fra l’altro, non si osservava un aumento significativo delle emorragie maggiori.
L’effetto nei confronti dell’end-point primario di efficacia era già evidente a 30 giorni (HR 0.77, 95% CI 0.67-0.88); il NNT (“number needed to treat” = numero di pazienti da trattare per 15 mesi per evitare un evento dell’end-point primario di efficacia) era di 46 e il NNH (“number needed to harm” = numero di pa-zienti da trattare per procurare un episodio di emorragia maggiore secondo TIMI non in relazione con il BPAC) era di 167. Peraltro, l’aumento delle emorragie maggiori deve essere attentamente valutato in ambito clinico, vista l’associazione fra eventi emorragici ed esiti sfavorevoli, inclusa la morte e il valore prognostico negativo insito nelle procedure di emotrasfusione.
Il risultato favorevole del prasugrel è probabimente in relazione ai livelli più stabilmente elevati del suo metabolita attivo, rispetto a quello del clopidogrel, con maggiore inibizione dell’aggregazione piastrinica (IPA), una variabilità inter-paziente ridotta e una quota minore di pazienti considerati scarsamente ri-spondenti o addirittura resistenti. Deve peraltro essere sottolineato come il confronto fra prasugrel e clo-pidogrel, entrambi somministrati dopo la coronarografia e prima della PCI nello studio TRITON, non sia stato “fair” per il clopidogrel, la cui azione di IPA solo dopo 6 ore dalla somministrazione è in grado di eguagliare quella del prasugrel a soli 30 minuti. Tuttavia, prendendo in considerazione gli eventi verifica-tisi dopo il 3° giorno, al momento dello steady state per entrambi i farmaci, si nota come la differenza di efficacia a favore del prasugrel sia ancora presente, suggerendo un beneficio clinico legato a una mag-giore IPA anche a lungo termine.
Un altro punto controverso è quello relativo alla dose di carico del clopidogrel: anche se la dose consi-gliata in scheda tecnica è di 300 mg, è piuttosto diffusa nella comunità cardiologica l’impiego di una dose di 600 mg, che accelera il raggiungimento di un’IPA ottimale, rispetto alla dose inferiore. Peraltro, nello studio PRINCIPLE-TIMI 44, il prasugrel ha evidenziato un’IPA più efficace, sia a breve sia a lungo termi-ne, anche in confronto a una dose doppia rispetto al consueto di clopidogrel (cioè 600 mg di carico e 150 mg di mantenimento): i risultati dello studio PRINCIPLE sono presentati nella tabella 3.
In conclusione, lo studio TRITON-TIMI 38 ha convalidato l’ipotesi che gradi maggiori di IPA siano asso-ciati a una maggiore riduzione degli eventi clinici ischemici, nei pazienti con NSTEACS sottoposti a PCI. Questo effetto favorevole è tuttavia associato a un aumento delle emorragie maggiori secondo TIMI; pe-raltro, il beneficio clinico netto, che tiene conto del profilo globale di efficacia e di rischio, rimane chiara-mente in favore del prasugrel. Quest’ultimo sembra quindi essere indicato soprattutto nei pazienti con NSTEACS che abbiano una probabilità elevata di eventi ischemici e ridotta di complicanze emorragiche; viceversa, i pazienti che abbiano un rischio più ridotto di eventi ischemici quanto invece elevato di com-plicanze emorragiche potranno continuare a giovarsi del clopidogrel.
Bibliografia
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