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il mio eroe

Ho conservato tra i segnalibri del mio browser, per mesi, precisamente da marzo, un articolo scritto da Laura Marchetti. È, tra i post che quotidianamente segno per questa minima rubrica, quello che ha resistito più a lungo, senza dubbio. L’ho conservato perché mi pareva impossibile da cancellare, perché ogni volta che arrivavo a cancellarlo pensavo «no, ancora no, ancora qualche giorno», perché ogni volta mi pareva che quella cosa non fosse stata detta come doveva essere detta. Oggi proverò a dirla.

L’articolo si intitola La civiltà è Enea che porta Anchise sulle spalle e si riferisce a un notissimo momento dell’Eneide di Virgilio, quello in cui l’eroe troiano in fuga dalla sua città in fiamme prende il figlio per mano e il padre sulle spalle e li conduce in salvo, verso il mare, da cui profugo giungerà in Italia e diventerà, dopo lunghe generazioni, fondatore di Roma e del suo impero.

È un momento iconico del poema virgiliano, una sorta di immagine simbolo di quella fuga e di quella salvezza (qui trovate un interessante panorama di come gli artisti siano stati ispirati da questo gesto; ma abbiamo già altre volte detto del curioso e millimetricamente prodigioso libro sul rapporto tra Enea e Caproni, anch’esso uscito nei mesi primaverili della pandemia, anch’esso tutto dedicato a questa scena dell’Eneide). Ma è una salvezza che dice ben altro, che ci dice siamo figli di quella scelta di Enea, anche noi, e spiega alcuni passi del nostro cammino di uomini, anche. Come questa per esempio, scritta nell’articolo di Laura Marchetti (che trovate qui):

Chi è morto giace, sta per terra; chi sopravvive sta in piedi. Già solo questa collocazione spaziale rende “l’istante del sopravvivere, l’istante della potenza […] Ma, potremmo aggiungere, anche il capitalismo in quanto tale trasforma in Pil la sopravvivenza, poiché miglior produttori sono i vivi, cioè gli abili, i giovani, i forti. C’è nel potere contemporaneo quindi, il persistere di una barbarie di fondo, una inciviltà. La civiltà si fonda invece al contrario e nasce quando Enea in fuga dall’incendio, porta con sé il vecchio padre sulle spalle e, per mano, il giovane figlio. La pietà, che è la sua qualità esistenziale e la sua qualità sociale, lo spinge nell’aiutare, includere tutti, curare tutti, anche a scapito della propria sopravvivenza, del proprio potere. Quella pietà è anche l’intelligenza della specie…

Ecco, è la pietas naturalmente. Quella che ogni insegnante di latino ha avuto modo di provare a spiegare ai suoi giovani alunni, la pietas di Enea, la virtù meno affascinante per un eroe, quella che ne fa un eroe strano, perplesso, dubbioso, vittima della sua stessa epica. E però è la pietas che sta nel cuore di quel gesto, prendere il vecchio padre sulle spalle e portarlo in salvo, lontano dalla città che brucia. Rischiare se stesso e i propri giovani amici per salvare lui.

Ed è forse anche il caso di notare il tornare di alcuni termini, di alcune spie lessicali inquietanti e precise, tra un tweet e l’altro, tra un post e l’altro: «produttivo» «improduttivo» «utile» «inutile» «pensioni» «indispensabili»… Tanto che lo stesso Alessandro Baricco, nel suo straniante Libro privato sulla pandemia, ha voluto prima scrivere così:

Jung ricordò di aver previsto l’ascesa di Hitler semplicemente ascoltando i sogni dei suoi pazienti negli anni immediatamente precedenti all’avvento del nazismo. Stava cercando di spiegare che spesso la Storia non è che la traduzione in evento di certe pulsioni dell’inconscio collettivo…

Poi anche così:

Né si può dimenticare che, con un’inclinazione invisibile, atroce da registrare adesso, la Pandemia ha versato fuori dal creato gli anziani per primi, e i deboli… la Pandemia ha selezionato, se vogliamo proprio guardare negli occhi le cose, con un principio logico che in fondo avevamo perso per strada: potare con decisione, conservando i rami forti. Le guerre, ad esempio, facevano il contrario: falciavano le vite più giovani e forti, come a disperdere un eccesso di vitalità, ingestibile dal potere. La Pandemia, in questo senso, sembra una figura mitica costruita alla rovescia e con molta più lucidità. Sfoltisce, rigenera, ma non toglie la terra sotto ai piedi. Possibile che tutto questo sia casuale? Per quanto possa sembrare atroce, è lecito pensare che nella costruzione di una simile immane figura mitica abbia inciso una diffusa e inconsapevole convinzione che si vive troppo a lungo. O un astio diffuso per generazioni che non lasciano il passo a nessuno. Se non addirittura un’inconfessabile utopia di forza e purezza.

Io credo che sia insomma per questo che da marzo non avevo mai avuto il coraggio di cancellare quell’articolo dai segnalibri del mio browser. Perché guardo Enea e vorrei sempre riconoscermi in lui, nella sua pietas, nel suo gesto di civiltà e umanità, non in altri gesti, non in altre forme della forza o dell’eroismo. Mi piacciono gli eroi perplessi. Mi piacciono i perplessi, in generale. Mi piaceranno, ci scommetto, anche quando tra qualche anno guarderò la scena virgiliana e sarò nel frattempo diventato Anchise.

(Proteggeremo le vostre verità.)

Davide Profumo
Davide Profumo
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