quella siepe
2 Giugno 2019Venezia, fragilità e coraggio
9 Giugno 2019C’è un punto della frontiera tra Stati Uniti e Messico in cui se provi a chiedere in che Stato ti trovi, nessuno sa dirtelo con certezza. Potrebbe essere Texas, o Nuovo Messico, potrebbe anche essere Messico. Sono poche centinaia di metri tra El Paso e Ciudad Juárez, in assenza di muro e separate solo dai binari della ferrovia che collega le due città e dal rapido passaggio di qualche treno. Tra un treno e l’altro messicani in cerca di un futuro migliore provano ad attraversare clandestinamente e rapidamente i binari, rifugiandosi nelle cucine di un ristorante italiano che è affacciato sul Messico ma è già in territorio americano.
Di tutte le parole che sono state spese in questi giorni sul web, mi pare che quelle di Tiziana Lo Porto, a proposito di una frontiera e di un muro e di gente straniera che cerca di attraversarlo, siano le più importanti. E siano quelle che ci parlano più evidentemente di noi, anche se raccontano un luogo lontano, in cui forse non siamo mai stati, che facciamo fatica a immaginare, in cui forse non andremo mai.
Tiziana Lo Porto parla in realtà di libri che raccontano quel luogo (io ne ho letto soltanto uno, di quei libri: è quello scritto Francisco Cantù, che si intitola Solo un fiume a separarci; può valere come consiglio di oggi) ma come mi è successo per la Grecia, qualche anno fa, o per l’isola di Lesbo, ancora adesso, (e come mi successe da ragazzo, quando leggevo, senza nemmeno capirlo bene, del lungo viaggio di Tom Joad, verso un sogno che era soltanto un nome) mi pare che quel luogo possa essere davvero un luogo allegorico, il segno che ci dice qualcosa di noi, anche se non ci andremo mai. E che quindi quei libri parlino di noi, molto di più di quello che possiamo sospettare; che dicano di noi, stupiti e incapaci di comprendere, dalla parte fortunata della storia e della geografia.
E poi c’è un altro libro che mi viene in mente, mentre leggo il bel post di Tiziana Lo Porto. Quasi un classico, secondo me, il racconto di una linea invisibile che forse osserviamo con paura, i barbari che arrivano, che ci porteranno via molto di quello che abbiamo, una linea che pensiamo come valico e che vorremmo invalicabile, per tenerci lontani dal pericolo, dall’angoscia… Il libro, lo avrete già ben compreso, è quello di Alessandro Leogrande che si intitola Frontiera. Ho letto l’articolo di Tiziana Lo Porto, in questi giorni e ho pensato a quando leggevo il libro di Leogrande, qualche anno fa, e a quando leggevo il viaggio di Tom Joad, qualche decennio fa. Mi è parso necessario (più che bello) parlarne ancora oggi qui.