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il consenso alle mie storie

«Signore e signori, cari amici, vi ringrazio. All’inizio avevo molta paura di voi ma siete stati molto gentili e io ho preso a volervi bene perché ho visto che vi si può raccontare delle storie. Avete fatto una cosa che tutti noi dovremmo fare molto di più: avete dato il vostro consenso alle mie storie. Il mondo sarebbe più bello se consentissimo al nostro fidanzato o alla fidanzata, alla moglie, al marito, ai figli… anche al vicino di raccontarci le loro storie»

 

Imparo quindi oggi che esiste uno scrittore svizzero che si chiama Peter Bichsel che, alla fine di una lezione (o forse di un ciclo di lezioni… mi piacerebbe ancora di più, perché sarebbe un po’ somigliante a quello che ogni anno succede a me alla fine di maggio e all’inizio di giugno, cioè adesso, quando non so come salutare e ringraziare gli studenti che mi hanno ascoltato), ha detto a chi lo aveva ascoltato le parole che ho riportato sopra, le quali (rileggetele un attimo, adesso) riassumono in poche, gentilissime righe l’impressione che io ci ho messo alcuni decenni a farmi di cosa sia la letteratura. La voglia di sapere le storie degli altri, la voglia di raccontar loro le nostre, mettere in comune le storie che tutti abbiamo.

 

La frase di Bichsel l’ho trovata in un post di Paolo Nori, che parla anche di altro. E poi ho trovato anche, da un’altra parte, una poesia di un poeta che si chiama Guido Monti e che forse è una poesia che merita cinque minuti della nostra mattina. È citata in questo post che la introduce anche, brevemente. E la poesia, che parla di treni di una volta e treni di oggi, di velocità di stazioni e di luoghi in cui si aspetta e in cui si corre, è questa:

 

Intercity, litografiche

Il treno un terrazzo mobile e i corpi
sulle banchine cosine in fuga

Scompartimenti e dentro litografie
di città medievali con cinta murarie
ponti, mercati, banderuole su picchi
di campanili e in terra la loro ombra
lama nera a girar nei secondi secoli delle piazze

e noteranno i futuri un giorno nel vetrino litografico
noi esserini stilizzati guardare di fuori i fumi
sulle pianure di cemento del nuovo millennio
gabbie accese e percolate in liquidi di consumo
sui canali della crosta terra

loro come noi puntini minimi

di questo traversamento, del suo spazio infugato
di quale tempo? Mi chiedo ora sul treno Maglev
cabina monocolore,
vetroresina espansa sotto
il tunnel binario a lievitazione magnetica
tra Shangai e aeroporto

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Davide Profumo
Davide Profumo
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