Anche se non strettamente geografico, per ovvie ragioni, il web è in qualche modo un luogo, come lo è un prato o una spiaggia o una tangenziale vuota: ed è dunque uno «spazio» (lo so, è brutta parola) nel quale ci muoviamo, pensiamo, capiamo o crediamo di capire. Ma proprio per questo, non potrà mai essere uno spazio neutrale, in cui il nostro capire non sia predeterminato, in qualche modo, dai confini che sono stati assegnati al nostro sguardo: è come un campo in cui decidiamo di giocare a pallone; ed è pertanto ovvio che le dimensioni e la pendenza e tutte le caratteristiche del campo in cui giochiamo influenzeranno e determineranno le caratteristiche del nostro giocare.
Per questo non mi pare in nessun modo superfluo, ogni tanto, riflettere proprio su questo campo da gioco, il web: che è nuovo e non ancora ben esplorato e forse non ancora nemmeno da noi ben compreso nella sua pendenza e nelle linee che delimitano i nostri passaggi e i nostro movimenti.
Non molto tempo fa abbiamo parlato di un libro di Massimo Mantellini che prova una specie di bilancio nazionale sui rapporti tra web e realtà italiana; più apocalittico nei toni (e per questo meno convincente) ma senz’altro utile è il libro appena uscito dalla penna di Federico Rampini, che dipinge un mondo non molto rassicurante, a metà tra Orwell e Blade Runner. Se ne parla appunto anche sul web, in due recenti recensioni molto diverse nei toni e proprio per questo molto istruttive a chiarire che cosa possa essere il libro. La prima recensione, a firma di Massimo Maugeri, promette rivelazioni sconcertanti sul lato oscuro della rete, e si chiude così:
Quanto valgono la nostra privacy, le informazioni su noi stessi, sui nostri gusti e sulle nostre amicizie? Per noi poco, dato che le offriamo gratuitamente a Facebook. Per Zuckerberg e soci invece valgono tanto, dato che elaborandole e vendendole sotto forma di pubblicità e contatti di marketing sono riusciti a far ottenere all’azienda una valutazione di Borsa superiore ai 100 miliardi. Conoscere per difendersi. Perché una cosa è certa: sapere come stanno davvero le cose è il primo necessario passo per non essere relegati al mero ruolo di sudditi inconsapevoli e tecnologizzati dei nuovi Padroni dell’Universo.
La seconda è invece più una sobria analisi letteraria che una recensione dai toni drammatici e infatti esordisce così:
La struttura leggera di Rete padrona rispecchia l’ideale giornalistico di Federico Rampini: limpidezza, disinvoltura, seduzione. Attirato il lettore con argomenti che lo riguardano da vicino e gli schiudono nuove prospettive sul mondo in cui vive, miscelando la competenza (letture specialistiche, incontri con persone rilevanti) e lacerti di esperienza personale, trattando ogni oggetto con una scrittura concreta e diretta, sul filo di un linguaggio giornalistico sempre scorrevole e ben oliato, organizzando il materiale vasto in capitoletti sciolti e concisi, rubricati sotto titoli accattivanti, il giornalista «in» ha confezionato un nuovo libro molto smart. La qualità è garantita, la tiratura si prevede alta.
Poi ci sarebbe da fare anche un ultimo discorso. Che è quello che riguarda la «brevità» come principale caratteristica della scrittura sul web: ne fa un accenno, in questo breve articolo, il direttore del Post, Luca Sofri. Vi lascio a lui e, ovviamente per brevità, mi fermo. Consegnandovi volentieri a questa prima domenica di autunno.