una siepe, un muro, un ponte, la luna
10 Novembre 2019ascoltare la voce di un poeta
17 Novembre 2019C’è forse un modo di saper volgere gli occhi verso i margini della scena (che è una dote, un talento, più che un atto della volontà; o forse è entrambe le cose, un talento che si nutre di ripetuti e faticosi atti della volontà), c’è forse questa particolare capacità di restituire attenzione ai bordi della scena umana che è ingrediente essenziale di ciò che chiamiamo letteratura, proprio perché rifiuta le prospettive comuni e riesce a mettere a fuoco ciò ogni altro discorso ragionevole trascura o deride.
Ed è, mi pare, per esempio il modo di guardare la scena del mondo che ha don Chisciotte, armato di tutto punto in una pianura semideserta di vento e contadini, che getta la sua lancia contro i mulini a vento, mostri immaginari che ne popolano la fantasia turbata dai libri. O è piuttosto il Lennie omicida involontario di Uomini e topi, incapace di controllo, forza bruta e insensata delicatezza in un solo sguardo, sogno estremo di felicità irraggiungibile che contagia chi lo accompagna, rendendolo diverso (e quindi migliore) dal vuoto umano e polveroso che lo (e ci) circonda.
Insomma, c’è forse un modo di saper guardare il mondo che è tipico della letteratura e che è una parte segreta di noi stessi, forse la parte migliore, non lo so, senz’altro quella meno compromessa con le ragioni aride e utili della realtà, senz’altro quella che più ci spaventa. E mi pare che il post che oggi ne parla sul web (lo ha scritto Remo Lapino, lo trovate qui) sia la migliore lettura letteraria che io possa consigliarvi in questa mattina di acqua alta. Per esempio, per questo bel passaggio:
Le piazze sono per eccellenza il luogo più idoneo all’esercizio della libertà, seppure il vagare a zonzo richiami una libertà molto simile a quella degli uccelli all’interno di una voliera, quantunque grande, ma pur sempre voliera. In un mondo soffocato sempre più dal crisma della normalità, le anomalie, le piccole manie, le fisse, possono a volte rappresentare nicchie di salvezza, atti di libertà, un modo per riconquistarsi e tornare ad appartenersi all’interno di un contesto sociale emarginante. In una parola provare ad essere liberi in qualche modo.
Mi pare di sì, in effetti. Mi pare che ci sia un modo di guardare il mondo che chiamiamo idiozia perché non va d’accordo con le sbarre squadrate e perfettamente perpendicolari della nostra prigione (che sarà ampia e ben arredata, ma resta pur sempre prigione). E che il racconto letterario sia l’unico che riesce, ogni tanto, quando va bene, a farci intravvedere le distese immense della libertà, gli spazi vuoti e polverosi, i mulini e il vento contro cui abbiamo paura di scontrarci.