A cura di Antonio Di Chiara
Siamo diventati tutti adusi all’impiego dei biomarcatori di necrosi miocardica (troponine) per confermare o escludere la diagnosi di sindrome coronarica acuta. Abbiamo forse perso la capacità, grazie all’imaging avanzato, di utilizzarli per la stima del danno miocardico, ma sicuramente non ci è venuto mai in mente di utilizzarli a scopo prognostico nel cardiopatico ischemico stabile. In passato lo studio degli indici di infiammazione (hs-CRP in particolare) ha fornito conoscenze fisiopatologiche importanti, senza tuttavia portare ricadute cliniche sul paziente.
I ricercatori “evergreen” del Thorax Center (Eric Boersma e Maarten Simoons) hanno voluto invece testare questa ipotesi. Se cioè un “monitoraggio” stretto e altamente sensibile dei biomarcatori di necrosi miocardica (troponine ad alta sensibilità), di infiammazione (CRP) e di scompenso (NT-proBNP) nei pazienti dopo una sindrome coronarica acuta (in metà dei casi STEMI) fosse in grado di annunciare un nuovo evento.
Hanno quindi selezionato una coorte di 844 pazienti relativamente giovani, con normale funzione renale e assenza di angina residua, che hanno sottoposto a prelievi ematici seriati (19 in un anno).
Nei 40 pazienti (CASI) che hanno avuto un MACE (morte, infarto non fatale e rivascolarizzazione urgente per angina), i valori di troponina in tutto il periodo precedente all’evento si sono mantenuti su valori circa doppi rispetto ai pazienti senza eventi (non CASI). Per la hsCTnT si collocavano intorno al 99% (14 pg/ml), mentre per la hs-cTnI erano inferiori al 99° percentile (28 pg/ml). Analogo comportamento si osservava per l’NT-proBNP. Al contrario, la hs-CRP non differiva tra chi aveva avuto un evento maggiore e il resto della coorte. La predittività dei valori aumentati di troponina (sia T che I) che del NT-proBNP rimaneva significativa anche includendo nell’analisi multivariata lo score GRACE.
Quali possono essere le conclusioni suggerite da questo studio?
Lo studio, molto interessante sul piano speculativo fisiopatologico, non sembra pertanto supportare l’utilità di un approccio multi marcatore cardiaco (necrosi, scompenso, infiammazione) nei pazienti dopo una sindrome coronarica acuta.