A cura di Claudio Cuccia
La terapia anticoagulante nel paziente con tromboembolismo venoso e cancro è un problema. Lo è per il paziente, naturalmente, da anni costretto a una profilassi con eparina frazionata, la cui via di somministrazione aggiunge pena a pena. Si accolga pertanto con piacere il risultato dello studio Hokusai VTE Cancer,1 che apre ben più che uno spiraglio di speranza per i tanto sfortunati pazienti oncologici.
Lo studio (randomizzato, di non inferiorità, in aperto, rivolto a pazienti con cancro attivo o diagnosticato entro 2 anni) si può così sintetizzare:
Il trial, e le figure che del trial sono la sintesi, dicono che la dose di 60 mg di edoxaban non si dimostra inferiore al trattamento sottocutaneo con dalteparina, e ciò è dimostrato dall’end-point combinato di recidiva tromboembolica e di sanguinamenti maggiori.
Con l’anticoagulante diretto ci sono stati meno episodi tromboembolici (per effetto di minori recidive di TVP: 3.6% vs 6.7%), mentre si sono registrati più sanguinamenti maggiori (soprattutto secondari a sanguinamenti del primo tratto gastrointestinale e nei pazienti con patologia neoplastica di tale distretto corporeo, mentre i ‘severe major bleeding’ si sono dimostrati simili nei due gruppi di trattamento).
Quali le limitazioni del trial? Il disegno è in aperto (pensare a ‘iniezioni placebo’ francamente sarebbe stato eccessivo!), c’è stato un numero inferiore di quanto previsto di eventi primari, il trattamento mediano con dalteparina è stato inferiore a quello con edoxaban (dimostrazione questa di quanto le iniezioni non siano gradite!), si è giocoforza registrata un’eterogeneità di pazienti neoplastici, trattati per malattie diverse con diversi trattamenti.
Sta il fatto, in conclusione, che finalmente disponiamo di uno studio che dona prospettive terapeutiche ben più dolci rispetto a quelle sinora fornite, e questo, lasciatemelo dire, è un bel regalo per chi altro non cerca che certezze, dolcezza e sorrisi.