Fine della finestra temporale a favore di quella tissutale per la terapia trombolitica nei pazienti con ictus ischemico acuto?
27 Maggio 2019quella siepe
2 Giugno 2019Uno dei libri che mi ha insegnato meglio (e di più) a guardare al cuore della letteratura (se esiste, questo cuore) è un libro di lettere. Mi sono alzato dalla sedia qualche secondo fa, dopo aver messo il punto fermo alla frase precedente, e me lo sono portato qui davanti, tra la tastiera e il monitor del pc, per guardarlo mentre scrivo. Si intitola I libri degli altri, è un’edizione del 1991 (credo sia la prima), e l’autore è Italo Calvino. Raccoglie le lettere che Calvino scrisse agli scrittori che intendeva pubblicare per la casa editrice Einaudi, quando vi lavorava; raccoglie le sue impressioni di lettura e i suoi consigli a molti autori, anche notissimi.
Io comprai il libro (capisco adesso perché lo comprai: c’è un bollino blu sulla quarta di copertina con su scritto: «sconto del 70%, prezzo 14.400 lire…»; oggi si trova solo usato, a prezzi da collezione) e me lo lessi tutto, con sorpresa avidità, e decisi che avrei fatto quel mestiere anch’io: l’editor, o qualcosa di simile. Poi, in effetti, qualcosa di simile ho anche fatto, ma non proprio quello. E ovviamente non sono diventato Italo Calvino, nemmeno mi ci sono avvicinato, e ancora adesso guardo da lontano le sue lettere e mi paiono belle, intelligenti, capaci di spiegare a uno studente alle prime armi (come ero io) cosa sia la letteratura, quando è contemporanea.
Tutto questo lo scrivo oggi, perché sto leggendo un altro libro (già pubblicato sedici anni fa, ma oggi finalmente ristampato) che mette in scena una storia simile; forse un po’ più complessa e suggestiva, diciamo un po’ più siciliana e un po’ meno piemontese (cioè un po’ più barocca, anche nel modo di essere raccontata, e un po’ meno sabauda), ma in fondo una storia molto simile. La storia di Sciascia e del suo lavoro per la casa editrice Sellerio, di cui fu consulente, ma fu ben più che consulente, come si dice in uno dei bei post (scritto da Nadia Terranova) che oggi parlano di questo libro di (e su) Sciascia:
“Consulente” sarebbe come minimo riduttivo… La felicità di far libri … non è un semplice tracciato del lavoro di Sciascia, è la sua biografia editoriale: contiene i risvolti di copertina, le schede, le introduzioni ai brani delle antologie da lui ideate e curate. Risponde alla domanda su quanti e quali siano i suoi libri, se quelli che ha scritto, quelli che ha curato, quelli che ha scoperto, quelli che ha antologizzato, e la risposta è: tutti, pure quelli che non ha pubblicato. La gabbia grafica della pagina di presentazione è stata la sua palestra di scrittura, quella dove poté esercitare, nella costrizione della brevità, la densità e la seduzione di una passione erudita, e come avviene agli scrittori che vivono lavorando in mezzo ai libri, gli scrittori che fanno del leggere un mestiere, il confine fra i propri e gli altrui presto non dovette esistere più…
Ma ne ha scritto, di questo libro splendido con un titolo splendido, che racconta uno dei più grandi scrittori del secolo scorso e insieme a lui anche un editore tra i più originali del nostro tempo e una città, una regione, una passione per la scrittura che va ben oltre i confini di qualsiasi città e di qualsiasi regione, ecco, ne ha scritto anche Pier Mario Fasanotti, non limitandosi alla semplice (per quanto intelligente) recensione, ma cogliendo qualcosa di più, quella «felicità» probabilmente che è nel titolo del volume, una felicità che è dello scrittore ma forse ancora più del suo silenzioso complice, il lettore, il «tu» a cui lo scrittore guarda senza sapere chi sia, l’ombra che sta dietro le parole, l’ombra che Sciascia ha cercato di essere mentre leggeva e sceglieva e presentava:
E infatti Sciascia propose alla casa editrice di Palermo collane e libri votati al recupero della memoria, parola oggi più volte invocata ma spesso vanamente o solo in occasioni di ricorrenze e giorni dedicati a specifici uomini o avvenimenti, con conseguente, e confusionaria, miscela emotiva (quando c’è, s’intende). Gli interessava il fatto «mal noto, poco noto e ignoto». Era consapevole che l’edizione di un libro fosse un atto di critica. Guardava attraverso il mondo e il mondo attraverso i libri.
Lessi pertanto Calvino, venticinque anni fa, e pensai di poter essere felice a scrivere bandelle e risvolti di copertina, come evidentemente è stato Leonardo Sciascia. E ho in effetti scritto molte bandelle nei venticinque anni che sono passati. Non so quanto sono stato felice a scriverle, però ho letto molti altri libri e lo sono certamente stato a leggerne alcuni, a tratti, per quanto sia umana la felicità. Mi è venuta spesso in mente una frase che attribuisco a Stendhal, per abitudine. Si dice che fu lui a scrivere alla sorella, nel 1803, così: «Mi misi a leggere e fui felice». Leggo le parole di Sciascia, poi rileggo quelle di Calvino, stamattina mi pare che siano, della felicità, un’accettabile approssimazione.